
Immanuel Kant ha visto cambiare molte volte confini, regnanti, toponomastica e persino il nome della città natale. Solo la tomba non si è spostata. E questa «immobilità» non è segno di speranza, ma monito al mondo sull’orlo del precipizio per quanto potrebbe accadere in un angusto angolo di terra e mare che ricorda lugubri suggestioni della Berlino est prima della caduta del Muro. Così, la storia europea si rivela davvero l’eterno ritorno di cui parlava Nietzsche.
Königsberg, culla per secoli della cultura tedesca, perla del Baltico bombardata da Alleati e Armata Rossa nella seconda guerra mondiale, fu annessa all’URSS, ricostruita in stile sovietico negli anni Sessanta e ribattezzata Kaliningrad, in onore di Mikhail Kalinin, presidente del Soviet supremo ed eroe della rivoluzione. Per anni, pochi si sono ricordati dell’enclave russa: ferita nella memoria della Germania sconfitta (i cittadini tedeschi furono espulsi) e pur legittimo residuato del conflitto mondiale che si rivelerà una minacciosa spina nel fianco della Nato.
Al tempo del presidente Boris Eltsin era stata immaginata come una zona economica libera, una sorta di Hong Kong, ripopolata da cittadini russi (oltre mezzo milione) e fornita di infrastrutture di buon livello, anche per spegnere sul nascere sentimenti indipendentisti.
Sotto la presidenza di Vladimir Putin, l’enclave acquistò maggiore importanza strategica in risposta al percorso delle Repubbliche Baltiche e della Polonia verso Europa e Nato. Da allora, il Baltico si è trasformato nel pericoloso bacino di giochi di guerra, quelli che vanno sotto il nome di esercitazioni congiunte e che restano pacifici fino a prova contraria.
Se anche Svezia e Finlandia entreranno nella Nato, la «piccola Russia fuori dalla Russia» potrebbe diventare il tragico falò della neutralità e della dissuasione nucleare. E siccome la storia, oltre a ripetersi, gioca con le coincidenze, occorre aggiungere che qui è nata la prima moglie di Putin, Ljudmila.
La collocazione geografica di quest’area incastrata fra Polonia e Lituania fa venire i brividi. Il porto, una delle rare zone del Baltico dove il mare non si ghiaccia, ospita il quartier generale della flotta russa e – secondo fonti occidentali – sottomarini e missili di varia tipologia, anche con capacità nucleare, che potrebbero colpire ovunque in Europa. L’altro punto chiave di Kaliningrad è il cosiddetto «varco di Suwalki», in territorio polacco, un corridoio di circa cento chilometri che unisce l’enclave alla Bielorussia e che è l’unico collegamento di terra dei Paesi Baltici con l’Europa. Il corridoio, in caso di estensione del conflitto ai confini dell’Ucraina, diverrebbe una serratura a doppia mandata per i Paesi Baltici. Il blocco di Suwalki rafforzerebbe il controllo del Cremlino sulla Bielorussia ed esporrebbe a ulteriori rischi la sicurezza della Polonia.
«Non sarà più possibile parlare di status non nucleare nel Baltico. L’equilibrio dovrà essere ripristinato» ha detto l’ex premier russo Dmitrij Medvedev, lasciando intendere che la decisione dei Paesi scandinavi implicherà un rafforzamento delle difese di Mosca nella regione. Grazie al possesso di Kaliningrad, il Cremlino non dovrà chiedere il permesso a nessuno, sempre che missili nucleari non siano già presenti negli hangar dell’enclave. La Russia prepara le contromisure. Ha inviato navi cisterna per la fornitura di gas, nel timore che la Lituania chiuda il rubinetto e lasci la città di Kant al freddo. Armata fino ai denti, ma isolata.
Kant non si faceva illusioni sulla malvagità della natura umana e sulle propensione degli Stati alla guerra. «Lo stato di pace tra gli uomini, che vivono gli uni a fianco degli altri, non è uno stato naturale». Lo stato naturale «è piuttosto uno stato di guerra», ma a differenza di Machiavelli, riteneva possibile conciliare morale e politica. Teorizzò un’intesa globale, nella consapevolezza che la guerra è affare dei potenti di turno e il male assoluto per i cittadini che la subiscono.
Il suo era un sogno regolatore, l’embrione delle Nazioni Unite, rivelatesi nel tempo un’arma spuntata in rapporto a interessi e veti incrociati di grandi potenze. E la sua città è oggi uno schiaffo malvagio a un sogno che muore.
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