
Rispetto al 2020, nel 2021 la spesa militare globale è cresciuta dello 0,7 per cento, raggiungendo così i 2.113 miliardi di dollari (quasi 2mila miliardi di euro), equivalenti al 2,2 per cento del PIL globale, con un bel pezzo di mondo ancora alla fame o a rischio di morte da Covis e altre ‘guerre minori’.
Secondo il rapporto, i cinque paesi con le spese militari più alte nel 2021 sono stati Stati Uniti, Cina, Russia, India e Regno Unito. «Messe insieme, le loro spese militari ammontano al 62 per cento di quelle globali», scrive il Post, da cui traiamo spunto . Stati Uniti record con la spesa più alta: 801 miliardi di dollari (749 milioni di euro) il 3,5 per cento del loro PIL e al 38 per cento della spesa militare globale. E, ad aumentare la paura, scopriamo che sull’aumento della spesa del 2021 ha avuto un peso notevole lo sviluppo di nuove tecnologie nucleari.
Al secondo posto, con oltre 274 miliardi di euro, la Cina con un più 4,7 per cento di spese militari. 27 anni filati di crescita a inseguire l’aumento di quelle di altri paesi del Pacifico, soprattutto l’Australia, che sostengono di sentirsi a loro volta minacciati dalla presenza cinese. Il dilemma se prima l’uovo o la gallina.
Russia solo terza, ma tutti a crescere.
Anche la Russia ha aumentato la propria spesa militare nel 2021, certamente in vista dell’invasione dell’Ucraina. Complessivamente, la denuncia SIPRI, un trend di crescita ricominciato nel 2015 dopo una flessione durata qualche anno, e che secondo gli analisti ha diverse e spesso contrastate cause, a partire dalla spinta Usa in casa Nato per portare al 2 per cento le spese militari rispetto al loro Pil
Chi ha cominciato la corsa. Chi fa riferimento alla annessione russa della Crimea nel 2014, mentre la guerra in Ucraina «porterà l’aumento della spesa militare globale a intensificarsi e ad accelerare, contrariamente alla gradualità che normalmente contraddistingue cambiamenti di questo tipo». Visione del mondo non occidentale e non produttore di armi importanti, la lettura è spesso contraria e riferita a una logica di mercato e di potenza.
Negli Stati Uniti come in diversi paesi europei sembra che la priorità sia quella di modernizzare i propri eserciti e investire nello sviluppo di nuove tecnologie, più che semplicemente acquistare armi esistenti da altri paesi e aumentare numericamente il proprio arsenale. E le difficoltà avute dall’esercito russo hanno mostrato quanto sia fondamentale avere mezzi moderni e di alta qualità, linee di comunicazione sicure e criptate e un’organizzazione logistica efficiente.
Diversi governi europei hanno annunciato l’intenzione di voler aumentare le proprie spese militari, dopo una riduzione che proseguiva dagli anni Settanta e che solo di recente aveva subìto una leggera frenata. Per il particolare momento storico che stiamo attraversando, questi annunci sono stati accolti con pochissime polemiche, segno che anche le “società civili” dei vari paesi europei hanno scoperto di non essere immuni dalla minaccia della guerra.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale, i principali paesi europei hanno più che dimezzato la quota del PIL che assegnavano alle spese militari. E fino a tre mesi fa la guerra era considerata una possibilità che poteva riguardare zone del mondo lontane, o al massimo «un pezzo di Europa considerato periferico ed erede di una storia a sé, come la penisola balcanica».