Quindi, questa mattina, dopo aver liberato il cuore nella dolcezza del paesaggio, scrivo poche righe per mettere insieme un altro pezzetto di ciò che non è l’inferno in questa epoca infernale. Per dargli spazio e sperare che continuino a esistere luoghi liberi di pensiero critico dove agire per il bene, per le pace, per mantenersi umani, sottraendosi all’ottusità dell’ovvio, all’estremismo del banale obbediente.
Ieri mattina in una sala affrescata del comune di San Quirico d’Orcia, paesino civile in cui vivo, grazie alla gentile intuizione politica e culturale dell’amministrazione comunale, abbiamo firmato un Patto per la lettura che coinvolge le istituzioni locali, la biblioteca comunale, le associazioni del territorio, le librerie. Una cosa semplice. Senza troppe pretese. Un modo di dire che continueremo a remare contro, a non cedere alle lusinghe dell’arroganza che ignora, alla certezza accettata che la conoscenza possa essere un peso e che l’unico valore sia rappresentato simbolicamente dai denari e meno simbolicamente dalle armi.
Hanno parlato i rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni, ma a colpirmi è stata la responsabile della biblioteca comunale, che con emozione ha indicato i passi fondanti del nostro patto, nominando senza paura le parole pace, inclusione, pensiero critico. Si chiama Marta, ha detto, tra le altre cose, che il Patto promuove “la lettura come diritto fondamentale di tutti i cittadini e come strumento insostituibile di accesso alla conoscenza e di crescita personale e collettiva, per poter esercitare una cittadinanza piena e responsabile. La lettura e la conoscenza sono indispensabili per l’emancipazione civile, sociale ed economica degli individui e per la costruzione di una società democratica, inclusiva, consapevole e attenta alle diversità”. Il testo sottoscritto spiega bene: “Le attività organizzate nel Patto affrontano temi di interesse pubblico, questioni di genere, razzismo, discriminazione, disuguaglianza, salute e ambiente e sono improntate all’inclusività, all’accessibilità, alla promozione della pace e del dialogo interculturale”.
Parafrasando Italo Calvino, un piccolo spazio civile nel disastro che imperversa. Un modo semplice e pratico di restare umani. Restare umani per non perdere di vista il senso della storia, la meraviglia della vita, la poesia che non deve abbandonare i nostri cuori, la responsabilità che abbiamo nei confronti dei nostri figli.
Questo è il fiore.