
Una fase importante del Risorgimento italiano è rappresentata dai moti scoppiati tra il 1820/21 e il 1830 e che furono repressi duramente ovunque con pesanti condanne, tra le quali anche numerose pene capitali. Per sfuggire alla persecuzione dopo la sconfitta e per combattere a favore della libertà e dell’indipendenza di altri, numerosi volontari italiani combatterono allora in Spagna, Grecia e Portogallo.
Tra i primi – che non possiamo ancora però considerare ‘garibaldini’ o ‘mazziniani’ perché agirono in tempi precedenti – troviamo un gruppo di professionisti, intellettuali e studenti provenienti delle università di Pavia, Genova e Torino che combatterono in Spagna nel 1821 per rovesciare il regime assolutista. Altri ancora combatterono in Grecia per liberare il paese dalla dominazione turca e il più noto fu il piemontese Santorre di Santarosa che morì sull’isola di Sfacteria nel 1825.
Nel 1830 fuoriusciti italiani combatterono in Belgio, nel 1831 in Portogallo e in Spagna nel conflitto interno dal 1833 al 1840. A capo della legione italiana in Spagna c’era il genovese Gaetano Borso Carminati e ai suoi ordini vi furono Enrico Cialdini e Manfredo Fanti, entrambi diventati generali del regio esercito italiano dopo l’Unità d’Italia.
A conclusione della Prima guerra d’indipendenza il bresciano Alessandro Monti – che in precedenza era stato capitano dell’esercito austriaco – organizzò in Piemonte una Legione italiana per combattere gli austro-russi in Ungheria. Sebbene giunta troppo tardi per recare un concreto sostegno ai magiari, la Legione riuscì a proteggere le forze ungheresi che si ritirano a sud verso la Turchia. Dopo un lungo viaggio dal mar Nero alla Sardegna, la Legione approdò a Cagliari il 4 maggio 1850 e fu sciolta.
Quando la Polonia si ribellò all’impero russo, il garibaldino bergamasco Francesco Nullo accorse nell’aprile 1863 con un’altra legione italiana: il 5 maggio, nei pressi di Slawkow, nel combattimento di Krzykawka, Nullo fu ferito mortalmente, ma il suo vice, Stanislao Bechi, riorganizzò le forze tenendo testa ai russi per parecchi mesi. Il 19 dicembre 1863 il reparto però fu praticamente annientato: Bechi, nonostante fosse da ritenersi prigioniero di guerra, dopo la cattura fu fucilato dai russi a Wlochlaweck.
Un ultimo episodio che vide protagonisti volontari garibaldini italiani avvenne a Creta, nel 1867, a sostegno della popolazione insorta contro i turchi: circa duemila italiani, guidati dal garibaldino Luciano Mereu, sconfissero gli ottomani nei pressi di Heraclion.
Ormai anziano e non più in buona salute, ma soprattutto dimenticando che per ben due volte (a Roma nel 1848 e a Mentana nel 1867) si era scontrato duramente con i francesi, Giuseppe Garibaldi con slancio si offrì al nuovo governo di Parigi per difendere la repubblica attaccata dai prussiani. «Quel che resta di me è vostro. Disponetene», scrisse in un telegramma con uno stile molto simile al celebre «Obbedisco» del 1866. In un primo tempo il governo francese succeduto a Napoleone III sconfitto a Sedan esitò, ma fini poi per affidare a Garibaldi il comando dell’Armata dei Vosgi. Sotto la solenne denominazione di ‘armata’ non c’erano tuttavia né forze numerose, né particolarmente efficienti od equipaggiate.
L’inizio della campagna fu pessimo, ma alla fine il 24 ottobre 1870 a Digione i tedeschi furono costretti a ritirarsi. Ancora oggi l’unica bandiera prussiana catturata e conservata a Les Invalides fu quella presa da Garibaldi al reggimento tedesco sconfitto. Meno di vent’anni dopo, nel 1897, le forze turche furono sconfitte a Domokos da greci e volontari garibaldini italiani, anche se la guerra non si concluse positivamente.
Appena scoppiata la Prima guerra mondiale volontari garibaldini accorsero in difesa della Serbia, attaccata dal potente esercito austriaco. Il 20 agosto 1914, nella valle della Drina, a Babina Glava nei pressi di Visegrad, i primi volontari rallentarono l’avanzata austriaca subendo pesanti perdite: un preludio alla Grande Guerra. Il 4 agosto 1914 i nipoti di Garibaldi Giuseppe (Peppino) e Ricciotti junior offrirono alla Francia il concorso del Corpo Volontari.
Forte di circa duemila volontari la legione fu schierata nella zona delle Argonne, sostenendo da subito l’urto tedesco e subendo gravi perdite, tra i quali altri due nipoti del Nizzardo: Costante e Bruno Garibaldi. Se le azioni della legione garibaldina, nel quadro generale della guerra sul fronte occidentale, furono abbastanza limitate, esercitarono tuttavia una forte impressione sull’opinione pubblica italiana.