
Il pianeta sta pagando il delirio di onnipotenza di Putin e l’incapacità dell’Occidente, in particolare degli Stati Uniti, di trovare una soluzione alla crisi. L’Ucraina, vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro, è chiaro, purtroppo paga due volte. Potremmo sbagliarci, ma finora noi tutta questa decantata “unità atlantica”, tra Usa ed Europa, non l’abbiamo vista. La netta sensazione è che il Vecchio continente, piuttosto, in questa tragica vicenda, sia andato al traino degli americani. È una storia antica: ai momenti “tattici” di apparente omogeneità, si sovrappongono scenari strategici divergenti. La scelta di puntare subito sull’arma di pesanti sanzioni economiche anti-russe, per esempio, ha avuto, sta avendo e avrà, effetti collaterali potenzialmente devastanti. Che potrebbero mettere in ginocchio interi continenti, prima di tramortire l’economia di Putin.
Attenzione: con questo non vogliamo assolutamente dire che la mossa non dovesse essere fatta. Solo che, forse, bisognava farla, con questa durezza, molto prima. Dopo il 2014, quando le sanzioni allora decretate furono poco più di un pannicello caldo. Tutti quelli che adesso fanno la faccia feroce, allora stettero zitti e continuarono a pedalare, nonostante Putin si fosse impossessato della Crimea, in modo predatorio. Perché quell’assordante silenzio? Beh, parliamoci chiaro. Ogni grande democrazia, si porta appresso il germe dell’autodistruzione, che si chiama ricerca del consenso “costi quel che costi”. No, non sono sempre l’etica, la morale e i sacri principi (purtroppo) a governare le relazioni internazionali. Spesso, scende in campo una cosa che si chiama “realpolitik”. In molti continuarono a fare business con la Russia, senza farsi prendere dagli scrupoli.
La lista è lunga e qualche nome è pure sorprendente, visto come sta andando a finire questa faccenda. Bene, oggi Putin è “fuori controllo”, almeno per gli standard occidentali, ma una cosa è sicura: non possiamo permetterci una riedizione di un “Vietnam del Terzo millennio” nel cuore dell’Europa. La Nato ha scelto una neutralità “attiva”, muovendosi sulla lama di un coltello, perché fornisce armi agli ucraini, ma anche istruttori. Contemporaneamente, Biden mira a fare terra bruciata dell’economia russa, stringendo il rubinetto delle sanzioni al massimo possibile. Vorrebbe anche il bando totale nell’acquisto di greggio e di gas. Ma qui deve scalare le montagne, quelle tedesche, perché gli italiani, tutto sommato, per “solidarietà atlantica”, potrebbero anche finire per accettare codesto “suggerimento”. Che, comunque, li lascerebbe pesti e sanguinanti.
La pensa così anche chi non ti aspetti, cioè la “Ministra del Tesoro” Usa, Janet Yellen (ex Federal Reserve) che ha riconosciuto, durante una conferenza stampa al Fondo monetario Internazionale (FMI) l’impossibilità, per alcuni Paesi europei, di rinunciare immediatamente al gas russo. Come riporta il “Wall Street Journal”, la Yellen, tuttavia, ha ribadito che alcune grandi democrazie devono fare di più per applicare le sanzioni contro Mosca. In particolare, l’ex capo della Federal Reserve ha incontrato esponenti dei governi brasiliano, indiano e del Sudafrica. Questi Paesi, secondo fonti americane, saranno attentamente monitorati.
La sessione primaverile dell’FMI, dedicata alla presentazione dell’Outlook con i dati tendenziali dell’economia globale, ha sottolineato l’influenza devastante della guerra in Ucraina. Un elemento che si unisce agli effetti della pandemia e a quelli dei cambiamenti climatici, che alterano il ciclo dei raccolti e impattano sulla esponenziale scarsità di cibo. Specie di cereali. Non si tratta solo del crollo nelle esportazioni di granaglie dal blocco Russia-Ucraina, ma anche della drastica diminuzione nella produzione di fertilizzanti. Masood Ahmed, funzionario del “Centro per lo sviluppo globale”, lancia l’allarme, avvertendo che le crisi regionali si stanno “saldando” e coinvolgono, ormai, gran parte del pianeta.
Con un report approfondito, il “Wall Street Journal” titola: “La guerra in Ucraina approfondisce i problemi del debito in tutto il mondo in via di sviluppo”. Questa tragedia si collega alla pandemia e alla interruzione della cosiddetta catena di approvvigionamento, in una sorta di tempesta perfetta, che fa gonfiare i prezzi ed esplodere l’inflazione. Così, i Paesi poveri, vedono i loro debiti sovrani aumentare fino al default. L’ultima economia pubblica a crollare di schianto è stata quella dello Sri Lanka.