
Saliti al potere nel 1976, i militari argentini lo esercitarono in maniera brutale e violenta, sopprimendo in maniera orribile migliaia e migliaia di oppositori e violando sistematicamente i più elementari diritti umani. Poiché il paese era sempre più isolato sul piano internazionale e in preda a una grave crisi economica e sociale, la soluzione fu individuata in una mossa azzardata, un colpo teatrale che avrebbe risollevato le sorti della «Junta», come era chiamata la giunta militare.
Il 19 marzo un piccolo gruppo di forze speciali invase la Georgia Australe e il 2 aprile fu lanciata l’operazione «Rosario», lo sbarco nelle isole Falkland, ultimo lembo di territorio dell’impero inglese rivendicato dalla giunta militare. Pensata come guerra-lampo dagli argentini, l’azione si rivelò un disastro, sia per le condanne internazionali, sia per la rapida e incisiva reazione inglese, ma soprattutto per la valutazione sbagliata sull’atteggiamento degli Stati Uniti che – al contrario delle aspettative della dittatura – appoggiarono la Gran Bretagna. L’invasione divenne insomma un boomerang e la sconfitta rafforzò l’opposizione interna al regime fino alla caduta.
Il 2 maggio 1982, alle 17.57, il sommergibile nucleare inglese «Conqueror» – dopo aver ricevuto l’ordine direttamente da Downing Street – lanciò tre siluri contro l’incrociatore argentino «General Belgrano»: il primo mancò il bersaglio, ma uno degli altri due penetrò nella sala macchine prima di esplodere provocando subito la morte di più di duecentocinquanta membri dell’equipaggio.
A complicare la drammatica situazione la nave si trovò senza corrente elettrica per gli apparati radio e dovette quindi far ricorso alle segnalazioni con i razzi; i soccorsi, già in ritardo per questo motivo, si trovarono inoltre ad operare al buio per recuperare i naufraghi (anche con la collaborazione di unità cilene), ma riuscirono comunque a trarne in salvo dalle zattere poco meno di ottocento.
L’episodio fu indubbiamente quello che provocò il maggior numero di morti, ma le ostilità continuarono fino alla metà di giugno. Il bilancio complessivo delle perdite inglesi fu di duecentocinquanta morti, mentre quello argentino fu più del doppio al quale si aggiunsero undicimila prigionieri catturati dagli inglesi sulle isole.
L’incrociatore affondato aveva avuto alle spalle una vita abbastanza lunga e con parecchi problemi. Varato nel 1938 negli Stati Uniti ed assegnato alla flotta del Pacifico, era uscito indenne da Pearl Harbor nel dicembre 1941. Dopo aver preso parte alla guerra nel Pacifico, nel 1946 era stato parzialmente messo in disarmo, ma nel 1951 era state ceduto all’Argentina, all’epoca governata da Juan Domingo Peron; il nuovo nome assegnato, «17 ottobre», celebrava infatti l’anniversario di fondazione del partito al governo.
Caduti Peron e il partito giustizialista, anche grazie al fatto che il comandante della nave aveva aderito al colpo di stato contro Peron nel 1955, ci fu un nuovo cambiamento: in ricordo di uno dei combattenti dell’indipendenza argentina nel XIX secolo divenne allora il «General Belgrano».
Dopo aver subito una collisione mesi dopo, andò in cantiere per mesi e, tra ammodernamenti e periodi in cantiere per riparazioni, rimase comunque una delle navi di punta della flotta argentina fino al 1982. Al momento del siluramento l’incrociatore stava però facendo rotta verso le coste argentine, perché – a causa di un guasto ad un’altra unità – l’azione programmata contro gli inglesi era stata sospesa.
Perduto l’incrociatore, di fatto la marina argentina perse anche l’iniziativa strategica e non fu più in grado di contrastare le forze britanniche. Le circostanze dell’affondamento, già prima della resa delle forze che avevano invaso le Falkland, fecero sorgere i primi seri dubbi nell’opinione pubblica argentina sulla guerra e sull’impreparazione della giunta militare ad affrontare la difficile situazione. L’episodio ancora oggi è poi oggetto di roventi polemiche sia in Argentina che nel Regno Unito.
Margareth Tathcher nel 1993, nel corso di una diretta televisiva, fu accusata di aver dato l’ordine di colpire la nave per respingere una proposta di pace che stava arrivando dalla diplomazia di un paese sudamericano e di aver voluto così proseguire la guerra a tutti i costi. In Argentina invece non si sono ancora sopite le accuse tra ammiragli sulle reali responsabilità dell’affondamento, o peggio per aver ritirato dallo scontro per porle in salvo le altre unità. Viva e dolorosa anche la memoria popolare argentina espressa in film od opere letterarie, tra le quali un romanzo drammatico che racconta la vicenda di marinai dispersi e delle loro tragiche morti solitarie.