
«In Bosnia-Erzegovina si scatena una guerra mondiale nascosta, poiché vi sono coinvolte direttamente o indirettamente tutte le forze mondiali e in Bosnia-Erzegovina emergono tutte le contraddizioni di fine secolo e inizio terzo millennio”. (Kofi Annan, Rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite, § 503)»
«Poche settimane dopo la solenne firma a Parigi degli accordi raggiunti a Dayton (Ohio, USA) alla fine del 1995, Republika, il coraggioso e quasi unico giornale di opposizione a Belgrado, commentava così la guerra che aveva devastato la Bosnia ed Erzegovina nel quattro anni precedenti, segnando il punto più alto dell’orrore nel sanguinoso crollo della Jugoslavia», scrive su Ispi Michael Louis Giffoni, già ambasciatore italiano in Kosovo.
«Questa guerra conteneva in sé tutte le guerre conosciute dalla storia: era etnica, religiosa, civile, imperialista e aggressiva, guerra dei contadini contro i cittadini, guerra per la distruzione della classe media, la guerra di terra e di sangue».
La crisi bosniaca lezione internazionale la sostanza dell’analisi del diplomatico. La storia suggerisce che le animosità “nazionali” del Paese siano arrivate al punto di violenza interetnica solo a seguito di pressioni provenienti dall’esterno dei confini della Bosnia sia a livello regionale – nel drammatico contesto della disgregazione jugoslava – sia a livello globale nella complessa fase di ridefinizione degli equilibri di potere e dell’ordine internazionale dopo la fine del la guerra fredda. L’espansione Nato ad est per un po’ di attualità.
«In una lucida valutazione della prima fase delle guerre jugoslave (Triumph of the Lack of Will, Londra 1997), James Gow ha esaminato come – e perché – le maggiori potenze occidentali avevano fallito nei loro tentativi di far fronte al micidiale crollo della Jugoslavia e la sua discesa in una guerra selvaggia in Bosnia». Fallimento su come le Nazioni Unite, la NATO e l’Unione Europea dal 1992, avrebbero affrontato le crisi globali o regionali.
Quattro anni di fallimenti e 100 mila morti dopo, la ‘pace di Dayton’. «La riabilitazione e l’impegno a ricostruire i famosi ponti della Bosnia, sia fisicamente, socialmente che politicamente tra i suoi popoli». Aiutare la Bosnia Erzegovina a spostarsi gradualmente “oltre Dayton”, ma è ancora fallimento.
L’immagine drammaticamente efficace di Giffoni, il percorso dall’inferno di una guerra al purgatorio dell’assenza di un conflitto armato ma prigionieri di una pace fredda e paralizzante. La cosiddetta “trappola etnica”: un sistema di governance basato sulla separazione etnica stabilito dalla Costituzione contenuta negli accordi di Dayton. Necessario forse a breve termine per il mantenimento e il rafforzamento della pace ma successivamente drammatico per il paese.
«Uno stato centrale disfunzionale, percepito come tale dalla maggioranza della popolazione e fallito in un fatale senso di dimissioni nel corso di due decenni, soddisfacendo il consenso nazionalista e populista».
I bombardamenti Nato sulla Jugoslavia di Milosevic per il Kosovo cambiano lo scenario internazionale nell’aerea, ma non per la Bosnia. In questo il “mantra” delle etnie irriducibilmente contrapposte in BIH sembrava vacillare come fosse solo un “cliché” ma il fronte nazionalista è riuscito a raggrupparsi in tre componenti principali contrapposte. «Bosniacchi, croati e serbi e sancire il secondo fallimento dell’Occidente in Bosnia».
La scorsa estate la Bosnia è tornata al centro dell’attenzione mondiale per le ripetute minacce di Dodik di trasferire all’entità serba molte competenze delle istituzioni comuni, come difesa e sicurezza, fiscalità e salute. Allarme Onu di Christian Schmidt e scenario possibile. Doppia crisi provocata dalle forze centrifughe delle due maggiori tendenze ‘etnonazionaliste’: la fazione serba in maniera più evidente, e quella croata in maniera meno eclatante ma insidiosa.
L’ultima crisi bosniaca aggravata anche dalla sua dimensione internazionale, dal momento che i maggiori attori mondiali (Stati Uniti e Russia, e l’inerzia dell’UE, hanno solo sfruttato e alimentato le divisioni invece di ricomporle