Bosnia trent’anni dopo una pace forzata: instabilità fuga e tensioni

Trent’anni fa, la Bosnia-Erzegovina dichiarò l’indipendenza dalla Jugoslavia e subito dopo entrò in una guerra che alla fine sarebbe costata la vita a circa 100.000 persone. Oggi, affronta il tema Ispi (Studi di politica internazionale), la Bosnia deve affrontare «la più grande minaccia esistenziale del dopoguerra», per le mosse secessioniste del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik da Banja Luka, ma anche le meno plateali spinte croate da Mostar.
Minacce di nuove separazioni anche violente sulla scia della insostenibile Costituzione di Dayton a sancire un cessate il fuoco ma non certo a far maturare una pace, assieme una crisi demografica che sta privando il Paese di migliaia di giovani, che stanno scegliendo di emigrare.

«In Bosnia-Erzegovina si scatena una guerra mondiale nascosta, poiché vi sono coinvolte direttamente o indirettamente tutte le forze mondiali e in Bosnia-Erzegovina emergono tutte le contraddizioni di fine secolo e inizio terzo millennio”. (Kofi Annan, Rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite, § 503)»

La guerra mondiale nascosta

«Poche settimane dopo la solenne firma a Parigi degli accordi raggiunti a Dayton (Ohio, USA) alla fine del 1995, Republika, il coraggioso e quasi unico giornale di opposizione a Belgrado, commentava così la guerra che aveva devastato la Bosnia ed Erzegovina nel quattro anni precedenti, segnando il punto più alto dell’orrore nel sanguinoso crollo della Jugoslavia», scrive su Ispi Michael Louis Giffoni, già ambasciatore italiano in Kosovo.
«Questa guerra conteneva in sé tutte le guerre conosciute dalla storia: era etnica, religiosa, civile, imperialista e aggressiva, guerra dei contadini contro i cittadini, guerra per la distruzione della classe media, la guerra di terra e di sangue».

Indipendenze da cosa?

La crisi bosniaca lezione internazionale la sostanza dell’analisi del diplomatico. La storia suggerisce che le animosità “nazionali” del Paese siano arrivate al punto di violenza interetnica solo a seguito di pressioni provenienti dall’esterno dei confini della Bosnia sia a livello regionale – nel drammatico contesto della disgregazione jugoslava – sia a livello globale nella complessa fase di ridefinizione degli equilibri di potere e dell’ordine internazionale dopo la fine del la guerra fredda. L’espansione Nato ad est per un po’ di attualità.

La questione dell’uso della forza

«In una lucida valutazione della prima fase delle guerre jugoslave (Triumph of the Lack of Will, Londra 1997), James Gow ha esaminato come – e perché – le maggiori potenze occidentali avevano fallito nei loro tentativi di far fronte al micidiale crollo della Jugoslavia e la sua discesa in una guerra selvaggia in Bosnia». Fallimento su come le Nazioni Unite, la NATO e l’Unione Europea dal 1992, avrebbero affrontato le crisi globali o regionali.

Quattro anni e 100 mila morti dopo

Quattro anni di fallimenti e 100 mila morti dopo, la ‘pace di Dayton’. «La riabilitazione e l’impegno a ricostruire i famosi ponti della Bosnia, sia fisicamente, socialmente che politicamente tra i suoi popoli». Aiutare la Bosnia Erzegovina a spostarsi gradualmente “oltre Dayton”, ma è ancora fallimento.

Pace fredda: dall’inferno al purgatorio

L’immagine drammaticamente efficace di Giffoni, il percorso dall’inferno di una guerra al purgatorio dell’assenza di un conflitto armato ma prigionieri di una pace fredda e paralizzante. La cosiddetta “trappola etnica”: un sistema di governance basato sulla separazione etnica stabilito dalla Costituzione contenuta negli accordi di Dayton. Necessario forse a breve termine per il mantenimento e il rafforzamento della pace ma successivamente drammatico per il paese.
«Uno stato centrale disfunzionale, percepito come tale dalla maggioranza della popolazione e fallito in un fatale senso di dimissioni nel corso di due decenni, soddisfacendo il consenso nazionalista e populista».

Le bombe Nato del ‘99

I bombardamenti Nato sulla Jugoslavia di Milosevic per il Kosovo cambiano lo scenario internazionale nell’aerea, ma non per la Bosnia. In questo il “mantra” delle etnie irriducibilmente contrapposte in BIH sembrava vacillare come fosse solo un “cliché” ma il fronte nazionalista è riuscito a raggrupparsi in tre componenti principali contrapposte. «Bosniacchi, croati e serbi e sancire il secondo fallimento dell’Occidente in Bosnia».

Crisi 2021-22 oscurata dall’Ucraina

La scorsa estate la Bosnia è tornata al centro dell’attenzione mondiale per le ripetute minacce di Dodik di trasferire all’entità serba molte competenze delle istituzioni comuni, come difesa e sicurezza, fiscalità e salute. Allarme Onu di Christian Schmidt e scenario possibile. Doppia crisi provocata dalle forze centrifughe delle due maggiori tendenze ‘etnonazionaliste’: la fazione serba in maniera più evidente, e quella croata in maniera meno eclatante ma insidiosa.

L’ultima crisi bosniaca aggravata anche dalla sua dimensione internazionale, dal momento che i maggiori attori mondiali (Stati Uniti e Russia, e l’inerzia dell’UE, hanno solo sfruttato e alimentato le divisioni invece di ricomporle

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