
Fermate questa guerra. Subito. Fatelo per i bimbi ucraini, certo, ma anche per quelli del Sudan. Che muoiono come le mosche. E per quelli di quasi tutta l’Africa e di mezza Asia, perché le armi uccidono, in modo subdolo, anche a grande distanza. Cominciando sempre dai più deboli, dagli indifesi, dai dimenticati dal Signore. Da quelli che non fanno notizia, nei paludati talk-show di questi disgraziatissimi giorni, perché non crepano sotto le bombe. Ma che molto più silenziosamente e nell’indifferenza quasi planetaria, muoiono solo di fame. L’invasione russa dell’Ucraina ha sconquassato tutti gli scenari geopolitici e, nel delicato settore dell’approvvigionamento alimentare, ha definitivamente fatto saltare il banco. Solo a marzo, il blocco dei porti sul Mar Nero, arrestando le esportazioni di grano ucraino (che si sommano alla diminuzione di quelle russe) ha fatto aumentare i prezzi del 20%.
Secondo gli indici mensili pubblicati dalla Fao, cereali, oli da cucina e carni, hanno raggiunto rincari storici. Gli analisti delle Nazioni Unite pensano che il trend rialzista continuerà, intaccando anche il ciclo delle scorte. Larghe fasce di popolazione, già sotto la soglia di sopravvivenza, in molti Paesi del Terzo mondo semplicemente non riescono più a sfamarsi, per colpa di rincari esponenziali. Secondo l’ International Food Policy Research Institute”, l’IFPRI “la situazione alimentare era già precaria prima della guerra ucraina, ma il conflitto l’ha fatta definitivamente precipitare. D’altro canto, le stime dicono che il blocco Russia-Ucraina rappresenta il 12% delle “calorie” scambiate nel mondo.
Un esperto IFPRI, John Glauber, citato dal “Guardian”, sostiene che molti Paesi, che per l’importazione di cereali dipendevano da Kiev e da Mosca, adesso si dovranno affidare completamente all’Occidente (Stati Uniti, Europa, Canada, Australia) e all’Argentina.
Ma, a questo punto, i prezzi rimbalzeranno ulteriormente, caricandosi di oneri aggiuntivi di trasporto e rischi assicurativi. Perché questa rivoluzione forzata, cambierà completamente tutti i presupposti della logistica. Infatti, gli Stati che importano grano, mais e altri cereali dal Mar Nero, sono principalmente africani e mediorientali. Questi prodotti rappresentano fino al 35% del fabbisogno quotidiano totale delle calorie, per quelle popolazioni.
Attenzione, ha detto Ngozi Okonjo-Iweala, dell’OMC (Organizzaxione Mondiale del Commercio), perché si rischiano turbolenze sociali e rivolte. Aumenti vertiginosi si sono registrati anche per il prezzo dell’olio di girasole, che nel solo mese di febbraio è salito del 25%. L’effetto domino si è trasmesso ad altri oli di semi, come quello di palma, mettendo in crisi centinaia di milioni di consumatori, tra industrie e privati. Un report del WFP (Programma alimentare mondiale dell’Onu) afferma che la “carestia da prezzi” ha colpito in modo particolare l’Africa Orientale e potrebbe “incendiare” qualche area del Medio Oriente.
Etiopia (dove c’è una guerra di cui nessuno parla), Eritrea, Somalia e Kenya hanno visto i prezzi del cibo impennarsi del 25%. Il Sudan, invece, Paese gigantesco, spaccato in due da anni di sanguinosi conflitti tribali, è praticamente al collasso. Qui, secondo l’indagine ufficiale, mangiare ormai è quasi impossibile, perché i prezzi sono raddoppiati.
E siccome piove sul bagnato, la guerra europea ha anche sconvolto il mercato dei fertilizzanti, già in crisi per le regole introdotte sull’emissione di CO2. In questo settore, i prezzi sono andati praticamente fuori controllo e oggi, usare fertilizzanti in molti Paesi del Terzo mondo è praticamente un lusso. Questo significa abbassare drasticamente la resa per ettaro dei raccolti e, transitivamente, la disponibilità di prodotti per il consumo alimentare nei mercati.
Tornando al costo del grano, va detto che, in Medio Oriente, tutte le regioni di quell’area stanno soffrendo una grave crisi economica, che potrebbe sfociare presto in crisi sociale. Recentemente, si è parlato molto del Libano, ma poco dell’Egitto, un vero vulcano in ebollizione. Se in America è il prezzo della benzina a tenere al potere i Presidenti, qui è quello del pane. Che infatti si chiama “aish”, “vita”. Bene, dopo gli aumenti dovuti alla guerra in Ucraina, El-Sisi vuole togliere i sussidi e far pagare la pagnotta al costo di mercato. Fossimo in lui ci penseremmo due volte. Perché il Fondo monetario internazionale dice che, quando gli egiziani hanno fame, scendono per le strade a protestare.
E, da quelle parti, coloro che già vivono sotto la soglia di sopravvivenza, sono da subito una trentina di milioni.