
Il largo consenso del Rassemblement National e della sua leader, Marine Le Pen, è il prodotto di fattori sociali che attraversano la Francia e più in generale i Paesi europei: paura dei flussi migratori, minaccia terroristica, ripiegamento su valori nazionalistici e identitari, soprattutto fra le classi medie impoverite e ceti popolari che un tempo votavano a sinistra. Il successo ha trasformato un movimento ai margini nella vita politica in una forza che ha stravolto il tradizionale bipartitismo del sistema francese. Oggi l’alternanza fra centro sinistra e centro destra, è diventata di fatto un sistema tripartito, con conseguenze piuttosto complicate e drammatiche per il ricambio della classe politica, per la scelta delle amministrazioni locali e regionali e soprattutto per l’elezione del presidente a doppio turno.
Se il Rassemblement è il primo partito, la contesa elettorale si trasforma in pratica in una corsa ad arrivare secondi, nella segreta speranza che contro Marine Le Pen, come avvenuto in passato, si formi una coalizione «repubblicana» quanto mai anomala e eterogenea. Questo è il calcolo di Emmanuel Macron per farsi rieleggere, ma questa è diventata anche la tattica, e l’ultima versione di Marine Le Pen, che ha tolto «Le Pen» dai manifesti e si presenta come donna di Atato. Ha persino diluito il suo programma, nella sostanza sovranista e anti immigrati, in attestati di fedeltà all’euro e all’Europa.
Fino alla campagna elettorale del 2017, non era mai avvenuto che il capo dell’estrema destra xenofoba e antieuropea arrivasse al secondo turno, in testa come primo partito, con qualche probabilità di vittoria. Il solo precedente fu la partecipazione al secondo turno di Jean Marie Le Pen, nel 2002, ma non come primo partito e comunque sonoramente sconfitto da Chirac che coalizzò con l’80 per cento dei suffragi un ampio fronte gaullista, socialista e repubblicano. E non era mai avvenuto che i due maggiori partiti – il gollista e il socialista – assoluti protagonisti di ogni elezione e del gioco democratico, fossero eliminati dalla corsa al primo turno. Domani, la storia, quasi certamente, si ripeterà. Facendo un po’ di conti, partiti e i movimenti antisistema sommano la metà dei votanti, cui andrebbero conteggiati gli astensionisti.
Occorre aggiungere che il successo dell’ex Front National ha radici lontane, persino precedenti alla leadership di Marine. Un movimento con radici e parole d’ordine di estrema destra, antieuropeo, xenofobo e razzista, in alcune occasioni apertamente antisemita, è stato infatti sempre presente dal dopoguerra. Le origini sono la Repubblica di Vichy, il reducismo della guerra d’Algeria, un conservatorismo contadino e bigotto che non vedeva di buon occhio la destra gaullista, la laicità della Repubblica, il cattolicesimo liberale.
Il «pericolo» Le Pen è stato in realtà uno spauracchio, utilizzato anche dalla sinistra per sottrarre voti alla destra e capitalizzare il consenso repubblicano. Per la storia, alcuni osservatori attribuiscono un cinico calcolo a François Mitterrand. Il programma ideologico, deputato da asprezza di toni e slogan razzisti, è banalizzato, non più stigmatizzato come pattumiera ideologica. Non soltanto in Francia, è moneta corrente nella corsa ad alzare muri, invocare controlli e chiusure di frontiere, mortificare valori di solidarietà e accoglienza, esaltare radici ancestrali, disprezzare in blocco le élites, accusare l’Europa anche dei raffreddori di stagione.
Senza ammetterlo, la destra se ne appropria e la sinistra ha smesso di condannare, secondo una deriva culturale che attanaglia l’Europa, i partiti tradizionali, i leader, con la sola eccezione della ex cancelliera Angela Merkel, che fu sempre decisa a tenere la barra dritta e a guardare al futuro, nonostante gli schiaffi elettorali.
La crescita dell’estrema destra è stata determinata anche dalla reazione miope degli avversari. La sinistra non ha compreso quanto il fenomeno attraversasse le classi popolari, non perché convertite alla xenofobia e al populismo, bensì per le mancate risposte alle domande di sicurezza sociale ed economica. La destra, soprattutto con Sarkozy negli anni della sua presidenza, ha cavalcato il fenomeno, sperando di recuperare l’elettorato del Front, ma finendo per banalizzare slogan, programmi e parole d’ordine in un linguaggio che esula un po’ dalla tradizione gaullista e repubblicana. Marine Le Pen ha compiuto un capolavoro politico. Da un lato ha eliminato dalla scena suo padre, un «parricidio» che ha permesso di ripulire il Front dei personaggi più imbarazzanti e delle parole d’ordine più inquietanti.
Nessun esponente osa più proferire messaggi antisemiti e sgradevolmente razzisti. Dall’altro, ha cominciato a diluire nel bagaglio ideologico originario un discorso più adatto alla società francese di oggi, di cui lei stessa – divorziata, piuttosto aperta sulle tematiche civili – si è fatta interprete per svecchiare il partito e catturare le giovani generazioni, che oggi rappresentano lo zoccolo duro del suo elettorato. Al fondo, né lei né il Front sono cambiati. È però cambiata la società francese, lacerata dalle questioni del terrorismo e dell’immigrazione, più diffidente verso l’Europa, rabbiosa verso il futuro e nostalgica di grandezze passate. Pronta o comunque più disponibile ad ascoltare le sirene di Marine.
Se il populismo è una malattia involutiva della politica, non c’è infatti migliore laboratorio della Francia per chi abbia voglia di analizzare germi, cause, forse rimedi. Date le drammatiche condizioni di salute della «gauche», il cui elettorato popolare si rivolge sempre più verso le estreme o si astiene, la destra repubblicana avrebbe in teoria la vittoria in tasca: c’è una Francia che sogna l’alternativa, che pretende riforme strutturali, che ha voglia di crescita e di libertà economiche, che è satura di ideologia statalista, disoccupazione cronica, spesa pubblica fuori controllo e record di prelievo fiscale tra i grandi Paesi.
Marine Le Pen, banalizzata e di fatto non più corpo estraneo, non ha più bisogno di slogan politicamente scorretti e di arringhe sgradevoli. Le basta ripetere ciò che la maggioranza dei francesi e degli europei pensa senza dirlo. Fino a quando i francesi sceglieranno le fotocopie anziché l’originale?
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