
La Russia è stata sospesa dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite. Gli Stati Uniti stanno cercando di fare pagare salata, anche in campo diplomatico, la macelleria aperta da Putin nelle città ucraine sventrate dai suoi missili. E vanno all’assalto a testa bassa, tirandosi appresso il resto degli alleati. Ma il frenetico attivismo della Casa Bianca, al di là della momentanea vittoria “tattica”, pone seri interrogativi sul piano strategico. Perché, geopoliticamente parlando, Biden si muove come un elefante in un negozio di cristallerie. E la matassa della crisi ucraina è molto più ingarbugliato del previsto: ha caratteristiche di complessità, che la rendono imprevedibile e, quindi, difficilmente governabile.
Insomma, le sorprese sono dietro l’angolo, come quella di ieri a New York, dove i voti contro la Russia sono stati “solo” 93. Ben lontani, quindi, dai 140 che, nelle precedenti assemblee dell’Onu, avevano, per esempio, condannato l’invasione. Al posto di Biden e dell’Europa saremmo preoccupati. Perché, in questa votazione, anche se giunta dopo il trauma dell’eccidio di Bucha, 24 Paesi hanno sostenuto la Russia e, addirittura, 58 si sono astenuti. Tra cui un “simbolo” come il Qatar, nominato honoris causa, dagli Usa, (sembra una barzelletta) “miglior alleato mondiale della Nato”. La risoluzione è passata solo perché la maggioranza qualificata dei due terzi, per regolamento, deve tenere conto solo dei voti validamente espressi.
Leggendo tra le righe i risultati, dunque, mezzo pianeta si è schierato con la Russia. O, comunque, non l’ha ostacolata. Certo, l’ambasciatrice americana Linda Thomaas-Greenfield per cementare la coalizione anti-Putin ha dovuto sudare. La Cina si è messa subito di traverso e ha fatto da punto di riferimento, praticamente, a due continenti. Alcuni singoli Paesi – ha detto l’ambasciatore di Pechino alle Nazioni Unite, Zhang Jun – mentre parlano ad alta voce di pace, sono ossessionati dalla creazione di scontri di blocco, per provocare tensioni nella regione Asia-Pacifico”. Duri anche i commenti dell’ambasciatore russo, Gennady Kuzmin, secondo cui gli Stati che hanno votato contro Mosca sono “ricattati”.
Richard Gowan (International Crisis Group), a proposito dell’assalto diplomatico americano contro la Russia, ha sostenuto “che senza Bucha non sarebbe stato possibile”. Ma proprio dall’analisi degli schieramenti usciti da questa ennesima “ordalia” diplomatica, forse si può cominciare a capire la gigantesca portata dello scontro in atto, in questo momento, nel pianeta. Sbaglieremo, ma ci pare di capire che l’Occidente sia in rotta di collisione con il blocco Cina-Russia e con tutta una serie di potenze “intermedie”, che non si identificano pienamente con la nostra cultura e con il nostro modello politico e sociale. Tra quelli che non hanno votato contro Mosca, ci sono giganti come Cina, India e Brasile; Paesi di grosso calibro come Indonesia, Messico, Egitto e Sudafrica e “petrostati” al livello di Arabia Saudita, Emirati e, come detto prima, il Qatar. Inutile citare Venezuela e Iran, perché quelli li diamo per scontati.
Come riportano “New York Times”, “Washington Post” e “Guardian”, astenuti e contrari parlano di “troppa fretta”. In sostanza, dicono, bisogna aspettare i risultati di un’inchiesta approfondita e indipendente su Bucha. Sempre Gowan, analista di aree di crisi per conto dell’Onu, fornisce una convincente chiave interpretativa delle attuali schermaglie diplomatiche. Avendo organizzato tre importanti risoluzioni contro la Russia, in breve tempo, le nazioni occidentali potrebbero dare un’immagine sbagliata del loro attivismo.
“Per gran parte dei Paesi africani e asiatici – prosegue lo specialista – c’è la sensazione che le potenze occidentali vadano da loro solo per chiedere voti contro la Russia. Ma gli Stati Uniti e i loro alleati devono rendersi conto che ci sono altre gravissime emergenze. A cominciare da quella alimentare”.