Nato: «La guerra potrebbe durare mesi o anni», ma l‘America pensa alla Cina

Tra analisi e allarmismo la dichiarazione fatta ieri dal segretario generale della Nato uscente Jens Stoltenberg parlando con la stampa a Bruxelles secondo cui, «L’ambizione del Cremlino è di prendere il controllo dell’intera Ucraina e riscrivere l’ordine internazionale».
Vola più alto Papa Francesco: «Nella guerra in Ucraina assistiamo all’impotenza dell’Onu» e la denuncia delle strategie «degli Stati più potenti per affermare i propri interessi, l’area di influenza economica, ideologica e militare»
Infatti, parziale memoria delle politica di Trump, per gli Usa la principale minaccia alla democrazia globale resta la Cina.

All’Europa l’Ucraina, agli Usa il resto del mondo

Nonostante le crude immagini di devastazione e di morte che arrivano dall’Ucraina monopolizzino ormai da oltre un mese l’attenzione dei media americani, cresce parallelamente il dibattito sulle altre aree di crisi. In particolare, tiene banco (e non poteva essere altrimenti) l’Indo-Pacifico. In questo senso, si moltiplicano i richiami a focalizzare il ruolo della Cina, che viene percepita come il vero “nemico pubblico numero uno” di Washington. Le analisi geopolitiche si moltiplicano, offrendo un ventaglio di scenari lontani dalla nostra visione “eurocentrica” delle relazioni internazionali. Da questo approccio “grandangolare” emerge, senza ombra di dubbio, un dato di fatto: la guerra che si sta combattendo in Europa rappresenta il collasso di un sistema diplomatico, che si potrebbe riproporre in Asia.

Collasso diplomatico

Dopo Niall Ferguson, su “Bloomberg”, ora anche Tom McTague, sulla prestigiosa rivista “The Atlantic” mette un punto fermo con un titolo lapidario: “La nostra sfida più grande e la principale minaccia strategica è la Cina”. “La potenza Usa ha garantito la sicurezza dell’Occidente – scrive McTague – consentendo alle democrazie europee di unirsi. Nel 1990, quando la minaccia sovietica crollò, gli Stati Uniti non ritirarono questa garanzia di sicurezza, ma la espansero verso est, consolidando la loro egemonia”. Beh, se non altro, al nostro analista non fa difetto la sincerità, dato che mette assieme, disinvoltamente, “sicurezza” ed “egemonia”.

Tra sicurezza ed egemonia

Ma dopo l’invasione russa dell’Ucraina, anche se la Nato sembra più unita e le democrazie stanno lavorando assieme per opporsi all’espansionismo di Mosca, una nuova minaccia incombe. “Una minaccia molto più grande di quella costituita dalla Russia, per l’ordine creato dagli americani: la Cina”. Pechino vuole il controllo delle rotte commerciali globali e, soprattutto, Taiwan. Oggi l’avventurismo della Russia e domani, forse, quello della Cina, secondo McTague, dipendono da una “miscalculation”, cioè da un malinteso senso di debolezza dell’America e dell’Occidente. È stata scambiata per fragilità, quella che invece era la risultante di un ciclo democratico, che mirava più alle politiche sociali ed economiche che a quelle di difesa.

Riarmo e pessime intenzioni

Per lunghi anni si è creduto che la Russia e la Cina, pur nella loro complessa fase di transizione, fossero delle autocrazie destinate, prima o dopo, a diventare Paesi con sistemi istituzionali simili a quelli occidentali. Invece, questa è stata una scommessa persa. “Non abbiamo voluto ascoltare Obama sulla Siria – scrive McTague – e non siamo stati in grado di reagire concretamente contro Putin nel 2014, in occasione della prima guerra ucraina”. Insomma, se la Russia è colpevole, non si può dire proprio che gli Stati Uniti e l’Europa siano innocenti.

Le colpe occidentali

Bret Stephens, sul “New York Times”, ha scritto che c’è stato un periodo in cui l’America ha perso tutta la fiducia in se stessa. Secondo Hillary Clinton, invece, si è avuto un “gap” di democrazia nel Paese. E per l’ex Primo ministro britannico, Tony Blair, è stata proprio l’esigenza di “inseguire” il consenso, destinando più risorse al welfare, a far trascurare settori come quello della politica estera e della difesa. Inutile dirlo: c’è qualcosa di complesso, imprevedibile e, quindi, ingovernabile, nella politica internazionale. “Abbiamo fatto guerre sanguinose in Vietnam, Irak e Afghanistan – conclude sconsolato McTague – oltre ad aver normalizzato i rapporti commerciali con la Cina. Eppure tutte queste politiche hanno contribuito a creare il mondo che esiste oggi e a rendere impopolare la globalizzazione e gli interventi militari all’estero.

Però, non si possono incolpare gli elettori per la loro perdita di fiducia in un sistema che li ha delusi e che ha arricchito un Paese come la Cina. Un Paese che i leader occidentali, ora, affermano essere la principale minaccia alla democrazia globale”.

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