
L’Ungheria non cambia: Viktor Orban vince ancora. Lui che questa volta aveva spinto sul paura del conflitto ucraino, eletto per la quarta volta consecutiva e la quinta in tutto, esulta e subito attacca: «E’ una vittoria così grande che si vede dalla Luna e di certo da Bruxelles», il massaggio sfida trasparente. alludendo alle forti tensioni con i vertici dell’Ue.
L’ultracattolico europeista Peter Marki-Zay, che aveva radunato tutti gli altri partiti in un’alleanza, ammette la sconfitta: «In questo sistema ingiusto e disonesto non potevamo fare di più». La propaganda governativa ha segnato la campagna elettorale. Segnalate irregolarità nel voto, monitorato – è la prima volta in un paese dell’Ue – da osservatori Osce.
Orban, ancora ieri mattina, appena messa la scheda con il proprio voto nell’urna, diceva di non essere pro nessuno se non pro Ungheria. Contrario a inviare armi a Kiev, contrario a fare passare direttamente sul territorio magiaro quelle della Nato, contrario a nuove sanzioni a Mosca. Disposto solo ad accettare profughi che arrivano attraverso il confine con l’Ucraina. A parole solidale con il vicino attaccato, nei fatti «equidistante», anzi interessato soprattutto alle forniture di gas e petrolio che Putin gli vende ai prezzi più bassi in Europa. Volodymyr Zelensky lo ha criticato due volte in pubblico come il peggiore dei leader europei.
Orban sino a un mese fa in crisi di consensi per l’economia in crisi, l’inflazione che sale e la pessima gestione della pandemia e i mancato finanziamenti da Bruxelles sembrava a fine percorso. Poi l’invasione dell’Ucraina con Orban che cavalca la paura della guerra e si fa neutralista schierandosi. Il fatto che il governo di Fidesz controlli quasi tutti i media, -rilevano i maggiori osservatori internazionali -, che abbia speso in propaganda dieci volte più delle opposizioni, e che prima abbia disegnato i collegi elettorali a suo vantaggio, ha certamente favorito il risultato.
Il fatto che, in piena guerra, abbia vinto il leader più freddo verso l’Ucraina tra tutti i Paesi Ue e Nato qualche campanello d’allarme anche altrove, nei governi europei, lo deve fare squillare.
Problemi per Orban. L’asse dei nazionalisti-populisti, il governo polacco e quello ungherese, su posizioni opposte su Putin. E il Gruppo di Visegrád (Varsavia, Budapest, Praga, Bratislava) di fatto saltato. «Terza e più importante conseguenza: i rapporti tra Bruxelles e Budapest destinati a inasprirsi», la previsione di Taino. I soldi del Recovery Fund bloccati a causa della corruzione e del basso rispetto dello Stato di diritto, mentre la Polonia, a sua volta sotto accusa per violazione delle regole democratiche ma Paese decisivo nel sostegno all’Ucraina e contro l’invasione russa, è destinata a superare molti dei contenziosi Ue e ad isolare il vicino ormai troppo scomodo.
Aleksandar Vučić ha vinto le elezioni in Serbia, riconfermato presidente al primo turno mentre il suo partito nazionalista conservatore si conferma il più votato. In questi anni Vučić, 52 anni, un passato da nazionalista radicale e da ministro durante l’amministrazione di Slobodan Milošević, ha inseguito soprattutto la crescita economica del paese e mantenuto una politica di equidistanza fra l’Unione Europea, a cui appartengono o aspirano di farlo quasi tutti i paesi della penisola balcanica, e la Russia, con cui la Serbia ha tradizionalmente importanti legami culturali ed economici.
La campagna elettorale è stata, di fatto, dominata dalla guerra. Vučić ha condannato l’invasione del paese ma non si è allineato alle sanzioni contro la Russia decise dall’Unione Europea una posizione largamente condivisa dai cittadini: secondo un sondaggio diffuso la settimana scorsa dal rispettato istituto Demostat e diffuso dal Post, circa la metà dei serbi ritiene che il proprio paese debba rimanere neutrale e non schierarsi apertamente né con l’Unione Europea né con la Russia.