
I due paesi d’Europa che per ragioni diverse sono più legati culturalmente o politicamente alla Russia di ieri e di oggi. Domenica Viktor Orbán e Aleksandar Vučić cercheranno una conferma politica. Caccia al quarto mandato consecutivo per il premier ungherese, e bis per il presidente serbo. I sondaggi delle elezioni parlamentari serbe prevedono una vittoria al primo turno del partito del presidente, mentre alle elezioni parlamentari ungheresi il partito di governo Fidesz, ex Partito popolare europeo, a rischio rispetto ‘l’opposizione di unità nazionale’: destra e sinistra assieme.
Per la prima volta Viktor Orban potrebbe perdere il potere quasi assoluto che s’è preso con una raffica di leggi illiberali e forzature della costituzione. Per la prima volta da dodici anni l’opposizione ha un candidato unitario e molto credibile. Il partito di Orban, Fidesz, segna solo un leggero vantaggio sull’alleanza che sostiene lo sfidante Peter Marki-Zay, un conservatore che vuole mettere fine al «potere antidemocratico di Orban per riportare l’Ungheria su una via europea».
Marki-Zay si mostra sicuro di sè: «Non ho mai vinto un sondaggio, ma non ho mai perso un’elezione».
Per Orban, la sua nota vicinanza a Putin rende più difficile la partita politica in casa (neutralità e niente sanzioni), ma soprattutto quella con i suoi alleati a Varsavia e nel resto del blocco conservatore dell’est europeo. Oltre a ulteriori imbarazzi di Le Pen in Francia e ai suoi Fratelli d’Italia. Insomma, la sfida è aperta e le conversioni filo Ucraina dell’ultima ora tentate da Orban, risultano poco convincenti. Voltafaccia storici. Dall’opposizione all’allora Urss, verso posizioni ultra-conservatrici sempre più marcate.
Orban è il capo di governo più longevo di tutta l’Unione europea: presidente del partito nazional-populista Fidesz, con alle spalle un primo mandato di premier già dal 1998 al 2002. Nel 2014 e nel 2018, grazie a una riforma elettorale fatta su misura di Fidesz, riesce a guadagnare una maggioranza di due terzi, imponendosi come “difensore di un’Europa cristiana” e come guardiano dei confini a fronte delle onde di migranti, con muri di filo spinato lungo le frontiere con la Serbia e la Croazia. In politica estera le scelte di Orban, fino all’invasione dell’Ucraina, si sono fatte sempre più nette: quella di Bruxelles e Strasburgo è stata definita una “èlite tecnocratica”, mentre si sono intensificati i rapporti non solo con Putin, ma anche con Pechino, con l’allora presidente americano Donald Trump, con il capo di Stato brasiliano Jair Bolsonaro.
Varie organizzazioni per i diritti civili parlano di possibili brogli, tanto che oltre ai 200 osservatori dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) a vegliare sulle urne ungheresi ci saranno anche 200 mila volontari.
In Serbia le elezioni parlamentari anticipate, le presidenziali e le amministrative nella capitale Belgrado e in altri 13 Comuni. Una triplice consultazione che, stando ai sondaggi, dovrebbe registrare una generale larga affermazione del presidente uscente Aleksandar Vucic, nettamente favorito per un secondo mandato con una probabile vittoria già al primo turno delle presidenziali, e con il suo Partito conservatore, forza di maggioranza nel Paese, che non sembra avere rivali in grado di impensierirlo, sia alle legislative che alle amministrative.
Un dubbio solo sul voto locale a Belgrado, dove l’opposizione è sempre stata più forte rispetto al resto del Paese, con la Serbia profonda a favore di Milosevic e la capitale che concentra le componenti intellettuali dell’opposizione, che questa volta, invece di farsi male da sola con il ‘non voto’ delle precedenti politiche, questa volta, anchd se sparpagliati, ci provano. Avviene dopo i cambiamenti e i miglioramenti in senso democratico della legge e dell’intero processo elettorale definiti con il dialogo dei mesi scorsi tra governo e opposizione con la mediazione del Parlamento europeo.