
John Lucas, giornalista investigativo inglese, ha ricostruito la storia recente della mafia albanese: dalla militanza nei servizi segreti di Enver Hoxha al patto con la ‘ndrangheta e la malavita colombiana nel traffico di droga.
L’unità speciale si chiamava 101K, scrive ‘succede oggi’. Negli anni Sessanta era una sezione della Sigurimi, i servizi segreti dell’Albania comunista di Enver Hoxha che, con il consenso del regime, collaborava con i gruppi mafiosi italiani che contrabbandavano sigarette attraverso l’Adriatico. L’unità 101K sorvegliava lo stoccaggio e la distribuzione del tabacco che partiva in un magazzino del porto albanese di Durazzo. L’ideologia ufficiale dipingeva questa collusioni come un’arma per combattere i nemici capitalisti dell’Albania.
Già nell’aprile 1997, Alessandro Pansa, allora direttore del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, alla Commissione parlamentare Antimafia, dichiarava che la mafia albanese stava assumendo un ruolo preoccupante sul mercato mondiale degli stupefacenti ed in particolare con esportazioni sempre maggiori di marijuana, di produzione locale, coprendo quasi interamente il mercato italiano di questa droga.
Preoccupazioni che sono aumentate negli anni seguenti quando ci si è accorti che la criminalità albanese era entrata in “affari” anche con i narcos colombiani per l’importazione di un ingente quantitativo di cocaina (10 tonnellate) attraverso una fitta rete commerciale attraverso intermediari greci e venezuelani.
I rapporti dei criminali albanesi con la mafia italiana esistevano già dai tempi di Enver Hoxa, allora legati soprattutto al traffico delle armi, della droga e delle auto rubate. Una volta caduto il regime comunista, i rapporti si sono semplicemente rafforzati e si sono diversificati i settori di interesse anche se i grossi profitti si ricavano sempre dalla droga, in particolare dalla cannabis la cui coltivazione in Albania ha avuto inizio nel ‘91/’92, sviluppandosi in poco tempo in una cinquantina di zone del paese.
Oggi, l’economia di molte zone dipende dalla vendita di marijuana, in commercio con italiani e greci. In Italia, negli ultimi anni sono arrivate decine di tonnellate di ‘erba’, e anche se il commercio con la Grecia è più facile, la costa adriatica, in tutto il suo sviluppo, richiama l’interesse albanese per gli alti prezzi di un mercato fiorente. Le rotte per Brindisi e Bari ne sono il perno, tra sigarette di contrabbando e altro.
Il coinvolgimento degli albanesi nel narcotraffico in Italia nei numeri. 9.509 denunciati nel quinquennio 2016/2020. Record nel 2019, con 2.048. Volendo analizzare le appartenenze nazionali di questa criminalità , attenti a non cadere nel razzismo, resta da dire che la piccola parte criminale della presenza albanese in Italia, rappresenta la seconda nazionalità sul totale degli stranieri denunciati annualmente (i marocchini continuano ad essere leader nelle attività di traffico e spaccio).
Naturalmente, anche il commercio dell’eroina di provenienza turca interessa gli albanesi con ruolo di smistamento in Europa. «Non risultano piantagioni di papavero da oppio mentre nel 1998 vennero individuati e distrutti quattro laboratori clandestini utilizzati nel processo di “taglio” della droga», il dettaglio di Piero Innocenti.
La comunità albanese dei residenti in Italia, alla fine del 2021, era di 433.171 persone, di cui un’infima minoranza risulta delinquere. Ma un delinquere ‘di qualità’. Sempre attuale l’analisi fatta dalla Direzione Investigativa Antimafia, la DIA, che segnalava nella criminalità organizzata albanese «caratteristiche di estrema dinamicità nella capacità organizzativa ed operativa», tanto da paragonarla alla ‘ndrangheta.
Attraverso inchieste giudiziarie e indagini di polizia, sono state rilevate «alcune caratteristiche tipiche della criminalità mafiosa». Tra queste, analisi DIA, «le affiliazioni in genere basate su legami familiari o comunque tra soggetti che provengono dalla stessa città o dalla medesima area e che condividono, quindi, i medesimi codici di comportamento..».
Secondo analisi dell’FBI, esisterebbero una ventina di clan criminali albanesi, detti fares. Ognuno di loro è rafforzato da vincoli familiari, che permettono di riconoscere al volo eventuali intrusi, ostacolando così l’infiltrazione di informatori, ed è fondato sull’idea consuetudinaria albanese di besa (fiducia), perno di un codice d’onore riassunto dal motto: «Quando un albanese ti dà la sua parola, ti dà suo figlio».
Regole d’onore dettate dal Kanun di Lek Dukagjini, un principe medievale che codificò per gli albanesi centinaia di regole di vita, soppresse durante il comunismo ma riemerse negli anni Novanta. Per il Kanun, la reputazione personale di affidabilità è tutto e, se viene meno, l’esito è la violenza estrema. Al Kanun si attengono scrupolosamente clan e famiglie criminali albanesi soprattutto quando debbono essere risolti dissidi tra gruppi rivali.
Remocontro ha il privilegio di possedere un preziosa versione del Kanun scritta in italiano. Come poter leggere Buscetta sulle regole della vecchia mafia nostrana scritte su un libro.