Il ‘Piano Gerasimov’ per un’invasione, pubblico da otto anni

Un piano elaborato dal Capo di Stato maggiore russo, generale Gerasimov. L’attacco all’Ucraina –scopre Piero Orteca andando a rovistare dove la pigrizia solitamente non va- era una “possibile opzione” programmata da almeno otto anni. E di fatto semipubblico e certamente nota all’intelligence statunitense e cinese.

Gerasimov ‘model’ applied in Syria

L’invasione pensata otto anni prima

L’attacco russo all’Ucraina era una “possibile opzione”, programmata da almeno otto anni. Quella che, per comodità, chiameremo “Dottrina Putin”, è in effetti una svolta, prima che militare squisitamente geostrategica, in cui il braccio armato è rappresentato dal “Piano Gerasimov”. Quest’ultimo è il generale che riveste, attualmente, il ruolo di Capo di Stato maggiore delle forze armate russe. Il “Piano Gerasimov” è stato pubblicato, per la prima volta, quasi alla chetichella, il 27 febbraio 2013, dal “Voyenno Premyshlennyy Kurier” e rilanciato da “Radio Free Europe”, il 21 giugno 2014. Finalmente notato dai servizi di intelligence Usa, il “Protocollo Gerasimov” che, va sottolineato, è un piano d’attacco multidisciplinare, è finito sulle pagine della prestigiosa “Military review” del gennaio-febbraio 2016.

Chi sapeva

Inutile sottolineare che il Consiglio per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti e il Presidente Obama “sapevano”. Almeno dalla prima guerra ucraina del 2014, quella che ha portato Putin all’annessione della Crimea. Sapevano, ma si sono mossi poco e male. Perché “business is business”, perché hanno spostato i loro interessi strategici sull’Indo-Pacifico (il vero nemico dei dollari è la Cina) e perché si sono clamorosamente ostinati a sottovalutare Putin. Dopo Obama, i rapporti con la Russia si sono vieppiù sfilacciati, dal momento che né Trump e manco Biden hanno avuto la capacità di comprendere dove stesse andando a parare il Cremlino. E l’Europa? Lasciamo perdere. I popoli del Vecchio continente mostrano uno spirito di appartenenza lodevole, che i loro governi non hanno.

Approccio ‘bottegaio’

L’approccio della governance di Bruxelles, con la Russia, è sempre stata “bottegaio”, guidato più dalla logica del “mercato comune” che da quella della “unione politica”. Anche loro, adesso, si arrampicano sugli specchi. Reagiscono in modo furibondo con le sanzioni (solo ora), ma “sapevano” benissimo cosa poteva succedere. E l’hanno ignorato. Ma veniamo al dunque: cosa dice il “Protocollo Gerasimov”, su cui si impernia quella che abbiamo definito “Dottrina Putin”?

‘Protocollo Gerasimov’

Il generale sembra un Clausewitz alla rovescia. Il grande teorico militare tedesco diceva che “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”. Gerasimov capovolge tutto. Per lui “è la politica, la continuazione della guerra con altri mezzi”. Le armi servono solo a preparare il terreno a una trattativa, in cui partire da posizioni di forza. Insomma, scrive Valery Gerasimov, le regole della guerra sono cambiate e gli obiettivi possono essere raggiunti anche utilizzando “strumenti non militari”. E li cita: pressioni politiche, economiche, umanitarie e nel campo dell’informazione. Tutto coordinato, per far sollevare la popolazione contro il regime da abbattere. Ovviamente, non menziona mai l’Ucraina, ma quello che dice pare la fotocopia di ciò che i russi hanno cercato di fare, durante le prime fasi dell’invasione.

Guerra asimmetrica

Gerasimov, dopo avere analizzato l’intervento occidentale in Irak e in Libia, sostiene la necessità di una guerra “asimmetrica”, una sorta di “controguerriglia preventiva”. Reparti speciali distribuiti a macchia di leopardo dietro le linee nemiche, utilizzo di armi di precisione per colpire il nemico da lunga distanza (missili e artiglieria) e, soprattutto, impiego di “contractors”. Mercenari (o volontari) paramilitari, ingaggiati non per carenza di unità combattenti, ma per la loro esperienza.

Mai più attacchi frontali

Gerasimov insiste su un punto, ricordando l’invasione sovietica dell’Afghanistan: mai prendere di petto il nemico, con attacchi frontali. Non è un teorico della “blitzkrieg”, insomma, di cui spesso, in questi giorni, si parla a sproposito. Raccomanda la strategia delle “sacche”, ma senza stringere subito il cappio.
Gli obiettivi (in questo caso le città più importanti) vanno circondati e “affamati”, aspettando che cadano da soli. Gerasimov non rischierebbe mai un combattimento casa per casa.
Per questo i russi, a Kiev (e non solo) sono “lenti”: applicano il Protocollo del loro comandante. Dove hanno cercato di forzare la mano, hanno visto i loro tank distrutti dai “droni” turchi e dai missili anti-carro “Javelin”.

Molti sapevano

Basta, per cominciare a pensare che Putin se la preparava da otto anni? No, ma molti sapevano cosa e come poteva accadere. Gli Stati Uniti e assieme la Cina. Perché, anche Pechino “sapeva” e, in un certo senso, è pure complice. Se non altro morale.
«Centinaia di carri armati russi e cinesi, elicotteri d’attacco, aerei da combattimento e migliaia di soldati, combatteranno questa settimana, fianco a fianco, nelle più gandi esercitazioni in Russia dal 1981. In una dimostrazione di forza e di amicizia tra le due più grandi potenze militari asiatiche». Firmato: Henry Foy, “Financial Times”, 10 settembre 2018.

Certo, parliamo di tre anni e mezzo fa. Ma dov’erano in questo periodo di tempo gli americani? Dormivano?

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