Perché Julian Assange non deve essere estradato in America

Nuova sconfitta legale per Julian Assange. La giustizia britannica gli ha negato il ricorso alla Corte Suprema contro il via libera all’estradizione negli Usa dato nei mesi scorsi in appello. Con questa decisione si spalanca la strada alla consegna oltre oceano, dove il fondatore australiano di WikiLeaks rischia una pesantissima condanna per aver contribuito a diffondere documenti riservati contenenti anche informazioni su crimini di guerra commessi dalla forze americane in Iraq e Afghanistan.

Julian Assange dalla copertina di Internazionale

Wikileaks, i mille giorni di carcere di Assange

Le autorità statunitensi vogliono che il 50enne di origine australiana venga processato su 18 capi di imputazione per la rivelazione da parte di WikiLeaks di documenti militari statunitensi con informazioni su crimini di guerra commessi dalla forze americane in Iraq e Afghanistan.
Mentre l’odissea giudiziaria prosegue, dunque, il fondatore di Wikileaks ha deciso di sposarsi. E lo farà nella prigione di Belmarsh, a sud di Londra, il prossimo 23 marzo. Lo ha annunciato la sua fidanzata Stella Moris su Twitter. Nozze nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, a sud di Londra e dove Assange si trova da quasi tre anni.

Difendere Assange, fino all’ultimo respiro

La perorazione di Vincenzo Vita sul manifesto. La parola fine sarà messa dalla magistrata, che pure aveva dichiarato inizialmente impraticabile la misura chiesta dagli Usa per motivi di salute. La giudice Vanessa Baraister rimetterà il dossier alla dura ministra degli Interni conservatrice Priti Patel. «Poco più di una formalità», la considerazione amara dell’ex parlamentare.

Viaggio senza possibilità di ritorno

Il temuto viaggio di Assange oltreoceano potrebbe essere senza biglietto di ritorno. L’accusa, in base ad una legge sullo spionaggio del 1917, ha chiesto 175 anni di reclusione. Una condanna a morte di fatto attende l’imputato, che ha trascorso sette anni da rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e altri tre nel penitenziario londinese di Belmarsh, la Guantanamo inglese.

Persecuzione Usa

Come hanno denunciato Amnesty International, Reporters Sans Frontiers insieme a tanti attivisti civili, si tratta di una vera e propria persecuzione o, secondo l’inviato speciale delle Nazioni Unite Nils Melzer, addirittura di tortura. «Forse si proverà a portare la vicenda alla Corte internazionale dei diritti umani, ma il quadro sembra proprio compromesso».

Informazione monca, attacchi, repressioni

Dall’inizio della aggressione russa all’Ucraina quattro cronisti e fotoreporter sono stati uccisi e trentacinque feriti: cifre verosimilmente in difetto. I corrispondenti sono stati in parte ritirati, a partire da quelli della Rai (Innaro a Mosca ma col bavaglio aziendale, Ndr). A Mosca chi dissente o scrive qualcosa di poco gradito va in carcere con pene che raggiungono i quindici anni. Internet è limitato e i social sono bloccati.

Informazione embedded

L’informazione è prevalentemente embedded, al di là del tempo fluviale – il 75% dei titoli dei telegiornali, e la strisciata permanente dei talk- dedicato alle manovre belliche. «Ecco perché la sorte di Assange stride con la normalità delle censure e delle autocensure».

WikiLeaks è sul banco dell’accusa proprio per la scelta coraggiosa di rompere ogni omertà, mostrando i crimini perpetrati nelle occupazioni dell’Iraq e dell’Afghanistan dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Sotto la superficie non si deve andare, tuonano i potenti responsabili dei misfatti. Il segreto è una componente cruciale del dominio e la comunicazione è a sovranità limitata nel capitalismo della sorveglianza.

Assange è il capro espiatorio di una vendetta contro chi ha osato varcare la linea d’ombra. La cinica cerimonia è un ammonimento. Stiano attenti, questo è il messaggio, coloro che esigono di essere rispettati nel lavoro difficile di cronisti della verità. E se si muore o si è oltraggiati nel corpo non conta. La guerra è intangibile e guai a chi si oppone.

Non per caso l’accusa a WikiLeaks, malgrado le notizie esplosive siano state utilizzate da importanti quotidiani fino a quando ha fatto comodo, è di spionaggio. Questo è stato l’artificio adoperato per non incorrere nel primo emendamento della Costituzione di Washington, che considera sacrale la libertà di espressione.

Signor Presidente Mattarella, con la sensibilità che la contraddistingue, interpelli con la sua moral suasion l’omologo Joe Biden affinché conceda la grazia per riparare ad un’ingiustizia. Un bel regalo di nozze.

Bill Keller, ex direttore del The New York Times

Una testimonianza diretta di cosa accadde il quel 2010 quando Alan Rusbridger, il direttore del Guardian, gli svelò di una organizzazione chiamata Wikileaks, formata da oscuri oppositori del segreto di stato, che era entrata in possesso di una grande quantità di comunicazioni riservate del governo degli Stati Uniti. Il capo di Wikileaks, Julian Assange, un ex hacker nato in Australia e senza fissa dimora, aveva offerto al Guardian mezzo milione di dispacci militari provenienti dai campi di battaglia dell’Afghanistan e dell’Iraq. Forse ne sarebbero seguiti altri, tra cui un’enorme mole di cablogrammi diplomatici strettamente confidenziali. Il Guardian suggeriva, per amplificare l’impatto e al tempo stesso distribuire l’onere di maneggiare un simile tesoro, di invitare a questo banchetto esclusivo anche il New York Times. La fonte aveva accettato.

Dopo Wikileaks, giornalisti e trombettieri

  • 5 aprile 2010, Wikileaks diffonde il video di un raid statunitense a Baghdad, in cui nel 2007 morirono almeno 18 civili.
  • 7 giugno, Bradley Manning, un soldato statunitense impegnato a Baghdad, è arrestato con l’accusa di aver fornito a Wikileaks il video.
  • 25 luglio, Wikileaks pubblica circa 92mila documenti militari statunitensi sulla guerra in Afghanistan.
  • 22 ottobre, Wikileaks pubblica 400mila documenti militari statunitensi sulla guerra in Iraq dal 2004 al 2009.
  • 18 novembre, un tribunale svedese emette un mandato d’arresto per Assange con l’accusa di stupro, molestie sessuali e coercizione.
  • 28 novembre, Wikileaks diffonde oltre 250mila documenti diplomatici statunitensi.
  • 7 dicembre, Assange è arrestato dalla polizia britannica in base a un mandato europeo emesso dalla Svezia.
  • 16 dicembre, Assange è rilasciato su cauzione dopo nove giorni di prigione, a condizione che alloggi in una residenza a tre ore da Londra.
  • 24 febbraio 2011, un giudice britannico approva la richiesta svedese di estradizione.
  • 19 giugno 2012, Assange entra nell’ambasciata ecuadoriana a Londra e chiede asilo politico sostenendo di essere perseguitato e di temere l’estradizione prima in Svezia e poi negli Stati Uniti.
  • 2 aprile 2019, Il nuovo presidente dell’Ecuador accusa Assange di aver violato le condizioni per l’asilo politico, che gli viene tolto.
  • L’11 aprile la polizia britannica ottiene il permesso di entrare nell’ambasciata e arresta Assange, che il giorno dopo viene privato della cittadinanza ecuadoriana. Da allora è incarcerato nel carcere di Belmarsh, a Londra.
  • 19 novembre 2020. La magistratura svedese fa cadere le accuse di violenza sessuale, per mancanza di prove.
  • 5 gennaio 2021. La giustizia britannica nega l’estradizione di Assange negli Stati Uniti per motivi di natura medica.
  • 27-28 ottobre. Processo d’appello per l’estradizione: il giornalista rischia fino a 175 anni di carcere per violazioni della legge sullo spionaggio e della legge sulle frodi e gli abusi informatici.
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