Le ragioni degli altri, il dubbio e la paura

In punta di piedi, con gentilezza e senza turbare certezze assolute di amici o conoscenti e neanche di lettori intercettati in giro, mi permetto di esprimere un parere che non tiene conto della furia comunicativa dell’epoca che divide il mondo in due: bianco o nero, chi è pro e chi è contro, buoni e cattivi, o da una parte o dall’altra, anti qua e anti là.

Anzi, rettifico, neanche di un parere si tratta, ma di dubbi. Di qualcosa che mi aiuta a pensare e che mi fa soffrire, nello stesso tempo.

È davvero così sbagliato non avere una posizione dogmatica, in un senso o nell’altro? È davvero così sbagliato non indossare l’elmetto per difendere fino all’insulto, fino al ridicolo, posizioni scolpite sulla pietra del sentito dire?

È possibile sottrarsi dalla propaganda militare-mediatica così furente su ogni fronte e recuperare spazi temporaneamente liberi dove ragionare senza paure, cogliendo anche le contraddizioni che inesorabili disegnano la nostra realtà, senza doversi giustificare nel farlo, senza dover sempre chiedere scusa prima di dire un’ovvietà dal vago sapore etico. Senza dover ascoltare un “sì però” continuo e fastidioso, senza dover accettare per buone le tesi più ovvie e conformiste di chi non ha mai letto un libro di storia, un documento degli archivi storici, un trattato, un manuale di strategia militare o di guerra psicologica.

È possibile che i nostri giornalisti televisivi possano porre domande, ascoltare idee e analisi diverse, esperti che citano documenti e circostanze scientificamente provate, senza sentire costantemente il desiderio che si fa diritto di interrompere e banalizzare?

È possibile ascoltare un tg senza essere investiti dalla ripetizione costante dell’intercalare “di fatto” o cercare di uscire dal seminato dell’emergenzialismo che si fa ogni volta di più trincea culturale e politica?

È possibile essere per un’Europa unita e politica che possa avere un ruolo vero internazionale e nel contempo essere – per mille ragioni storiche – contro le attività belliche della Nato? Amare la cultura americana così come quella russa senza doversi nascondere dal maccartismo d’accatto? Detestare da sempre Putin senza dover firmare col sangue la dichiarazione che solo Putin vada detestato e non lui in compagnia degli altri bastardi e tagliagole che ammazzano e progettano guerre a destra e a manca e che non ci fanno mancare stragi, lutti ed efferatezze?

Ho questo disagio. Leggo abbastanza, sono abituato a non avere certezze assolute, agisco con autonomia critica anche quando converrebbe non farlo. Trovo tante cose giuste nelle tesi di amici o opinionisti che si battono per affermare idee che non apprezzo. E le studio, le analizzo con rispetto. Cerco di dare un senso etico all’idea che ha animato la mia remota scelta di fare giornalismo: ascoltare le ragioni degli altri. Provare a dare voce al silenzio degli innocenti, rispondere alla propria coscienza.

Gli studiosi lo sanno, la conoscenza è lentezza, profondità, capacità di vagare nelle nebbie del tempo senza spaventarsi, capacità di decifrare. Non è slogan di quindici secondi televisivi, non è prendere per principio fideistico le parti del più forte, non è ignorare la storia, ignorare il futuro e infiammare il presente fregandosene di passato e di futuro. Per questo mi fa rabbia vedere che alcuni amici, anche bravissimi, ormai hanno preso la deriva dialettica di discutere disegnandosi un grottesco avversario ideale. Accedendo a un confronto fatto di riflessi condizionati e di zero rispetto per le idee degli altri.

Sì, vabbè, mi potreste dire: è il momento delle scelte, tu da che parte stai? E io rispondo: da sempre solamente dalla parte degli umiliati e offesi, degli aggrediti, mai degli aggressori, dei disperati che scappano dalle guerre, dei bambini che muoiono di fame, delle persone imprigionate nei lager quando scappano dalla miseria alla ricerca della speranza; sempre dalla parte dei più deboli, degli indifesi di ogni tempo e di ogni latitudine. Non da ora. E sono sempre contro dittatori e generali spietati, contro trucidatori di vittime senza colpe, contro gli affamatori del popolo, contro quel potere maschilista e cinico che agisce sul mondo secondo regole di cinismo puro, affamando, armando, calpestando speranze e desideri, destabilizzando per meglio stabilizzarsi, schiavizzando, annichilendo coscienze, creando strumenti di morte e di narrazione mortale perché la vita sia sempre più ingiusta, sempre più in balia del più forte e del più spietato.

La penso così. E ci metto ovviamente dentro il dittatore Putin, i suoi eserciti, le sue armi, i morti innocenti sotto le sue bombe (per chiarezza nei confronti dei naïf della storia). Tremando sul futuro, piangendo per le vittime e per noi stessi che potremmo esserlo ancora di più, accettando il gioco assurdo del potere mediatico-militare capace di accendere i riflettori dell’indignazione quando fa comodo. Pronti a spegnerli a comando, sempre secondo comodi che non conosciamo. 

Non so come finirà questa storia, ma so che non finirà bene per niente. Gli effetti sono già davanti agli occhi di tutti. A differenza di troppi virologi social prestati all’arte della guerra con il fondoschiena degli altri, non ho soluzioni. Ho solo paura. 

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