Le sanzioni e le ‘guerre camaleonte’

Due secoli fa il prussiano Clausewitz non solo diceva che la guerra è «la continuazione della politica con altri mezzi», ma aggiungeva anche che la guerra è «un camaleonte e si combatte spesso sotto altre forme apparentemente non belliche». Dagli assedi per fame e sete ai blocchi navali, alla sanzioni commerciali, nulla di nuovo sul fronte delle guerre.

2500 anni fa il decreto di Megara

Intorno al 432 a.C. gli ateniesi imposero alla città di Megara una delle prime sanzioni economiche ricordate dalla storia. I megaresi, accusati di aver ucciso un inviato neutrale, furono banditi da tutti i porti e i mercati controllati dall’impero di Atene: lo scopo era di piegare la città ribelle facendone crollare i commerci senza per questo irritare troppo Sparta, ma la conseguenza fu la guerra del Peloponneso, ovvero l’attacco ad Atene da parte di una coalizione guidata proprio dagli spartani. Questo esempio divenne importante nei secoli successivi perché considerato una sorta di modello che si ripeté altre volte, senza contare le teorie che furono elaborate in relazione al rapporto tra guerra e sanzioni.
Nel corso della storia si ebbero spesso piccole ritorsioni reciproche sui dazi che originarono altri scontri minori, più contenuti e che furono ricomposti, ma sanzioni economiche di ampia portata finirono sempre per essere considerate ‘azioni di guerra’.
Quando gli americani imposero al Giappone l’embargo sulle forniture di petrolio, prodotto strategico per l’economia del Sol Levante. i giapponesi reagirono con l’attacco di Pearl Harbor, ovvero scatenando un conflitto da cui uscirono sconfitti, senza per questo risolvere la carenza di prodotti petroliferi.

L’Italia e «le inique sanzioni»

A parte i casi in cui le sanzioni hanno fatto precipitare una situazione, tuttavia non sempre hanno prodotto i risultati sperati. Il caso più citato riguarda le sanzioni imposte all’Italia da parte della Società delle Nazioni dopo l’aggressione all’Etiopia nell’ottobre 1935. La stragrande maggioranza dei membri dell’organizzazione internazionale condannò la guerra, ma ogni stato mantenne una propria posizione sulla questione economica e altri stati non appartenenti alla Società (in primis Germania e Stati Uniti) continuarono le forniture all’Italia di carbone, ferro, rame o petrolio. L’effetto fu quindi solo apparente.
Il regime fascista a sua volta trasse dalla propaganda contro «le inique sanzioni» un argomento con cui consolidarsi, ma soprattutto – aumentando il debito pubblico – varò numerosi provvedimenti di intervento pubblico nell’economia. Mancò insomma un accordo nella comunità internazionale e soprattutto non fu proclamato l’embargo anche sui prodotti petroliferi o bloccato i traffici commerciali, compreso il canale di Suez.
Con il senno di poi, alcuni studiosi hanno ipotizzato che in questo caso l’Italia non sarebbe stata più in grado di continuare le operazioni militari in Etiopia nella condizione di dover scegliere tra la continuazione della guerra o la sopravvivenza economica.

Il dopoguerra

Un periodo nuovo si aprì con la costituzione delle Nazioni Unite. Sebbene nei confronti delle sanzioni collettive ci furono frequenti paralisi decisionali dovute alla mancanza di unanimità nel consiglio di sicurezza, furono comunque dichiarate sanzioni nei casi controversi della Rhodesia e Sudafrica che durarono undici anni, ovvero dal 1968 al 1979, anno in cui la Rhodesia capitolò, mentre il regime sudafricano fu appoggiato ad esempio da Israele.
Prima ancora era stato proclamato un embargo internazionale nei confronti della Corea del Nord (1950) o contro Cuba (1959), entrambi modificati in parte, ma di fatto mai revocati.
Dure sanzioni furono comminate anche all’Irak di Saddam Hussein, ma l’eco delle polemiche sulle modalità non si spense nemmeno con il crollo del regime. Recente e ancora viva è la questione delle sanzioni all’Iran per l’arricchimento dell’uranio, altalenante tra le varie amministrazioni presidenziali Usa che si sono via via succedute.

Meno noto al pubblico è però che, nello stesso periodo, in conformità ai poteri concessi dalla carica, numerosi presidenti Stati Uniti ‘unilateralmente’ – cioè senza approvazione internazionale – hanno fatto ricorso a questi provvedimenti almeno un centinaio di volte.

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