Come non disperarsi, quindi, in questi giorni terribili. Come non piangere lacrime amare sulle morti, sempre ingiuste, sull’idea malsana che debbano essere le armi a parlare e mai la diplomazia, mai la buona politica e il buon senso, mai il rispetto della vita delle persone, di quelle stesse persone che vediamo morire o fuggire in tv, dopo che niente di sano e di umano viene fatto per aiutarle, per evitare che il peggio accada
Perché se la prima vittima è la verità, non dimentichiamo che a seppellirla è l’ipocrisia. E non parlo di quella social di @crudelino55 che combatte sul fronte del pc con l’elmetto in testa e la tisana accanto al mouse. Quella fa parte del rumore di fondo. Parlo di quella della politica, declinata dai media. Parlo di quella ipocrisia che si irradia nella propaganda, che agisce basandosi sull’assenza di memoria e su una visione miope del futuro. Parlo della marcia trionfale della visione “qui e ora” della storia, dell’ottusa lettura del mondo come se tutto cominciasse la mattina e fosse dimenticato il giorno dopo. Quella modalità che impedisce agli uomini di pensare, di approfondire, di capire, di avere conoscenze, di avere memoria del passato e ipotizzare un futuro attraverso azioni quotidiane che abbiamo consapevolezza di ciò che è stato e di ciò che potrebbe essere.
Gli esempi sono anche troppo facili. Senza sforzare troppo la mente dei nostri strateghi a pedali, basta ricordare i bambini curdi e siriani lasciati morire congelati alla frontiera polacca o quelli lasciati affogare in mare. Gli effetti delle guerre sono uguali sempre: morte, distruzione, povertà per anni e anni, fuga dalla tragedia. Oggi in Ucraina, come ieri nelle altre zone belliche scelte da criminali per far parlare la tecnologia militare. Utile non dimenticare le rivelazioni di Julian Assange, carcerato per aver rivelato la verità, inaccettabile variabile sconosciuta.
Oppure, per celebrare l’ipocrisia di queste ore, basta ricordare che gli stessi che in tv piangono per l’Ucraina, nel 2003 festeggiavano la chirurgia militare in diretta. Vi ricordate le scie verdi che tracciavano il cielo di Baghdad? Non si trattava di un videogioco, cari pacifisti dell’ultima ora, erano bombe che devastavano palazzi, abbattevano scuole, tiravano giù gli ospedali, ammazzavano madri e figli, uomini e donne.
La guerra è questa schifezza qui. E se oggi sale l’ondata pacifista, ed era ora, che non sia un fuoco di paglia della coscienza. Che non sia indotta dal bombardamento mediatico, tra il caffè e l’amaro, ma sia reale. Che abbia principi che si basano sulla conoscenza della storia, sulla memoria e sulla comprensione di un possibile futuro. Su un’azione nel presente per recuperare gli spazi di manovra della diplomazia, quindi della pace. Per avere la pace occorre evitare la guerra, occorre muoversi, agire, fare politica per limare le ingiustizie e capire come attivare spazi di confronto dialettico e non militare.
La domanda però è questa: se per risolvere ogni questione internazionale usiamo la superiorità tecnologica militare, che spazi abbiamo per costruire un futuro diverso per i nostri figli? Possiamo fare la pace costruendo armi e vendendole ai migliori offerenti? Possiamo abdicare dai nostri interessi civili e delegare completamente a Putin, Usa e Nato una visione del mondo armata fino ai denti? Sono domande. Non fatevi strane idee, e smettetela di confondere coerenza e autonomia critica con il collaborazionismo filo-Putin. Anche perché sono questi corti circuiti del pensiero che creano il terrapiattismo privo di visione e di prospettive che vediamo in giro nella nostra cultura, nella società, nella politica. Quindi: teniamoci stretta la libertà di esprimere posizioni che ampliano il campo dialettico, nel rispetto reciproco, per evitare di cadere nella trappola della propaganda che crea schieramenti, condanne ideologiche. Per non cadere nella trappola della censura che si sposa più con il putinismo che con la democrazia. E per non smettere di battersi per una democrazia compiuta e non fasulla ad uso di qualunque oligarchia.