
Abbiamo già parlato dell’inquietudine che serpeggia in diversi Paesi, fuori dall’ombrello Nato. Come la Finlandia e la Svezia. Mentre qualcuno comincia a dare già per scontata una possibile invasione russa della Moldavia. E persino un ritorno di fiamma in Georgia. Ma, andando a scenari più ampi, si è già visto come la crisi ucraina abbia indotto “rischieramenti” significativi nel Golfo Persico (Iran, innanzitutto, Emirati Arabi) e in Asia (India e, soprattutto Cina). Tuttavia, volendo monitorare la situazione geopolitica indotta nel Mediterraneo dalla guerra, un’attenzione particolare va rivolta alla Turchia.
Il problema è vecchio, ma è ritornato prepotentemente d’attualità. Il Paese è stato da sempre un bastione della Nato, ma negli ultimi anni, pur rimanendo ufficialmente dell’Alleanza Atlantica, Erdogan ha cominciato a giocare da battitore libero. Costruendo dei rapporti sempre più stretti con Putin (con alti e bassi), fino ad arrivare ad acquistare degli avanzatissimi sistemi e , come le micidiali batterie anti-missile S-400. Con la Russia, la Turchia ha giocato di sponda, soprattutto in Siria. Mentre in Libia, i due Paesi sembrano essere su fronti contrapposti. Tuttavia, le ambizioni turche sono quello di costruire un “gentlemen’s agreement” con Mosca, per quanto riguarda l’Asia centrale.
Sulla crisi ucraina, Erdogan è stato molto ambiguo. Si è proposto come mediatore e ha espresso valutazioni “d’ordinanza” sulla necessità di negoziati. Però, al contrario di quanto aveva chiesto il Presidente ucraino Zelensky, il passaggio delle navi da guerra russe nel Bosforo, tra il Mar Nero e il Mediterraneo, non è stato bloccato. Eppure, secondo i termini della Convenzione di Montreaux, avrebbe potuto farlo. C’è da dire che proprio dai Dardanelli sono transitate le sei Landing-Ships (navi da sbarco) che hanno dato l’assalto a Odessa. Si tratta di mezzi della classe “Ropucha”, in arrivo dal Baltico, che avevano sostato nel porto siriano di Tartus, divenuto ormai la più grande base navale di Putin nel Mediterraneo.
Qualche giorno fa poi, in piena guerra, dal Bosforo è entrato verso l’Egeo un sottomarino d’attacco russo della classe “Kilo”. Destinato a operazioni di “ombreggiamento” (cioè a tallonare e a tenere sotto tiro) la portaerei americana “Truman” e quella italiana “Cavour”. Altre unità russe di stanza in Siria (che pare siano arrivate anche dalla Turchia) svolgono invece operazioni di guerra elettronica contro la nostra flotta. Ergo, mai come in questo momento le relazioni internazionali vivono alla giornata, col paradosso di politici che fanno imprudentemente “i militari”, e di questi ultimi che invece frenano, invitando tutti alla prudenza. Perché sanno cosa c’è veramente in ballo.
E l’occasione è troppo ghiotta, per non regolare vecchi conti in sospeso. Questo non c’entra con le chiare responsabilità della Russia e con la sua sorprendente conduzione della crisi, che ricorda sì la Crimea. Ma quella del 1856 e di Balaklava. Per cui, lo ribadiamo, il disegno è più grosso e non riguarda solo l’Ucraina. Fa il paio con la riscrittura della globalizzazione economica che sta facendo la Cina. Plasmando mercati e mentalità produttive secondo la sua filosofia. E soprattutto secondo i suoi interessi. Beh, la Russia di Putin, trattata per quasi un trentennio come il parente povero delle potenze mondiali, sgomita per riprendersi il posto che (secondo lei) le spetta di diritto. Il diritto che le viene, come ci ricorda beffardo lo stesso Putin, daIl’avere un arsenale con 6 mila testate nucleari.
Certo, non è giusto. Anzi, come dice qualche politico che sverna a Bruxelles, “è inaccettabile”. Bene, questo, però, non sposta di un millimetro il problema. Che fare? Avrebbe detto Lenin. Bisogna trovare, di corsa, un punto d’intesa o aspettare che succeda qualcosa dentro il Cremlino. L’alternativa sarebbe solo quella di distruggere il pianeta.