
E’ Kiev il vero obiettivo del Cremlino? Oppure il Presidente russo si è messo in testa di ribaltare il pianeta, sconvolgendone gli equilibri geopolitici? Sì, perché in un mosaico, quando sposti una tessera traballano tutte le altre. E qui il colpo è stato forte. Provando a liberarci un po’ dalla retorica di queste ore, occorre riflettere freddamente sulle immediate conseguenze che potrebbe avere la decisione di Putin sullo scacchiere internazionale. In particolare, su quelle macro-aree di crisi che vivono già una fase di equilibrio instabile: Caucaso, Taiwan, Asia Centrale, Medio Oriente e Golfo Persico.
Allora, diciamo che la Russia non è del tutto “isolata”, perché, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, l’India, la Cina e gli Emirati Arabi si sono astenuti. Cosa che, per chi mastica diplomazia, è estremamente significativa. Mentre, per quanto riguarda l’Iran, oggi, il titolo d’apertura del Teheran Times, il giornale degli ayatollah, spiega la posizione della teocrazia sciita, compiacendosi del fatto che quasi tutti gli alleati degli Usa nella regione “hanno evitato di criticare apertamente la Russia”. Inoltre, viene sottolineato che questi Stati “sono riluttanti ad aumentare la produzione di petrolio per attutire il rialzo dei prezzi”. Insomma, scrive il giornale, non ci stanno ad aiutare Washington (e l’Occidente).
Ma la botta più grossa “Teheran Times” la riserva rivelando la notizia che il Presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi, ha telefonato a Putin per dirgli, testualmente che “l’espansione della Nato è una seria minaccia alla stabilità e alla sicurezza di Stati indipendenti in diverse regioni”. Concetto ribadito dal portavoce del governo, Alì Bahadori Jahromi, il quale però ha aggiunto che la diplomazia deve prevalere. Ma il Ministro degli Esteri, Hossein Amir Abdollaian, ha rincarato la dose, sostenendo che “la crisi ucraina è radicata nella provocazione della Nato”.
Allora, se la reazione a catena della crisi è questa, a Washington o dormivano o hanno sottovalutato la portata della sfida.
Possibile che in sette anni, dalla prima guerra del 2014, gli “strategist” occidentali non avessero capito dove stesse andando a parare Vladimir Putin? Evidentemente no. Non ci avevano capito granché, accecati dall’irresistibile logica del “business is business”. Non credevano che l’oligarchia pot-sovietica, ubriacata da un capitalismo di Stato “delle ferriere”, potesse infognarsi in uno scenario da brivido, che ricorda molto da vicino l’epoca dello zar Nicola II. Eppure i segnali, dall’ascesa di Putin in poi, c’erano stati tutti. Le guerre regionali e le repressioni nel Caucaso e in Georgia, una rinnovata e aggressiva presenza in tutti gli scacchieri internazionali (a partire dal Mediterraneo e dal Medio Oriente), ma soprattutto uno sviluppo tecnologico accelerato della capacità di riarmo.
Se a tutto questo si aggiungono il cinismo e le maniere spicce di Putin in politica interna e il suo disprezzo per gli oppositori, il quadro è completo. Nonostante ciò, Stati Uniti ed Europa hanno reagito sistematicamente in ritardo. Non sono stati capaci di organizzare, tutti assieme, una strategia di “containment” efficace. Trattando Putin e i russi come dei pezzenti, irrimediabilmente decaduti dopo le glorie sovietiche. Solo impressioni? Assolutamente no. Basta leggersi le analisi della scienza politica Usa negli Anni ’90, per capire ciò che si pensava del futuro della Russia.
Bene, adesso, per tentare di ricucire, bisogna prima rendersi conto di dove sia lo strappo e di quanto sia esteso. In sostanza la strategia grandangolare russa non tocca solo l’Ucraina, ma riguarda un prepotente allargamento delle sue “sfere di influenza”. Putin sta giocando su più tavoli, ha stretto qualcosa in più di un “gentlemen’s agreement” con la Cina e punta a stringere l’Occidente in tre macro-aree: Mediterraneo-Nord Africa, Medio Oriente-Golfo Persico, Indo-Pacifico.
Sul piatto di questa colossale partita di poker, ci sono, innanzitutto, energia, materie prime, semilavorati e una potenziale, sterminata domanda di prodotti di consumo a basso valore aggiunto, ma altamente remunerativi. Nel suo recente incontro con Xi Jinping, Putin ha siglato un’intesa programmatica “aperta” che, per chi ha avuto la pazienza di leggerla, fa capire come ormai l’alleanza strategica tra Russia e Cina sia cosa fatta e come Usa ed Europa siano ormai “controparti” di questo formidabile binomio. Esiste un protocollo segreto per Taiwan? Probabile.
Dopo la disastrosa fuga dall’Afghanistan e l’impotenza dimostrata nel prevenire la crisi Ucraina, a nostro giudizio questo è uno dei momenti di maggiore debolezza per un’America zigzagante, guidata da un Presidente che non viene percepito come vero “leader” dai nemici. E manco dagli amici. Pechino potrebbe giocare una carta rischiosa, scatenando un’invasione di Taiwan? Forse. Nulla può essere escluso.