
Il 3 aprile in Ungheria elezioni parlamentari, e per la prima volta da 12 anni il primo ministro Viktor Orbán, despota eletto, ha uno sfidante sostenuto da tutti i principali partiti di opposizione. Orbán, insomma, rischia di perdere. Anche se Orban e la sua cerchia di alleati politici dispongono di un vasto campionario di trucchetti, forzature e mezzi di pressione a cui attingere in campagna elettorale, a cui stanno ricorrendo anche in queste settimane.
La tattica più diffusa era già stata collaudata prima delle elezioni parlamentari del 2018. Alcuni attivisti dei partiti di opposizione od esponenti noti della società civile sono stati avvicinati da misteriosi consulenti di multinazionali straniere con la scusa di una collaborazione. Queste conversazioni vengono registrate, montate ad arte e pubblicate sui giornali vicini a Orbán, come prova del fatto che esista un complotto internazionale – di cui fanno parte i membri della società civile ungherese – per rovesciare il governo di Orbán. Politico ha rintracciato quattro persone a cui è successo negli ultimi due anni.
L’intellettuale e accademico Dalibor Rohac ha raccontato sulla rivista The Bulwark la sua vicenda esemplare. Nell’estate del 2020 venne avvicinato da un misterioso uomo che sosteneva di essere socio fondatore della Wilson Energy Consultants, e con cui chiacchierò due volte su Skype con la videocamera accesa (su richiesta dell’uomo misterioso). Qualche mese dopo Rohac trovò un brevissimo stralcio della conversazione, in cui sosteneva che l’Unione Europea avrebbe tirato un sospiro di sollievo se Orbán avesse perso le elezioni del 2022, nella homepage di uno dei principali quotidiani ungheresi, Magyar Nemzet, notoriamente vicino a Orbán.
Un’altra tattica molto praticata da tutta la destra europea ma che Orbán usa e reinterpreta ormai da molti anni in campagna elettorale riguarda una presunta e imminente invasione di migranti. Associated Press scrive che «all’avvicinarsi delle elezioni del 3 aprile, Orbán ha descritto l’attuale pressione migratoria come superiore a quella del 2015, quando centinaia di migliaia di richiedenti asilo arrivarono nell’Unione Europea scappando dalla guerra e dalla povertà». A dicembre, in una rara conferenza stampa, Orbán disse ai giornalisti che nel 2021 le autorità ungheresi avevano fermato e imprigionato «più di 100mila persone».
In realtà le cifre sono molto più basse: secondo i dati di Frontex, l’agenzia di guardia di frontiera dell’Unione Europea, nel 2021 ci sono stati 60.540 ingressi irregolari in tutta la cosiddetta “rotta balcanica”, di cui l’Ungheria è solo uno tra i paesi meno coinvolti.
Un altro mezzo usato da Orbán sono gli incontri con i leader stranieri strategicamente piazzati a poca distanza dalle elezioni, in modo da legittimare il suo status di leader internazionale.
Poche settimane prima delle elezioni parlamentari del 2018 Orbán incontrò la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Oggi che il suo profilo si è decisamente inspessito, a inizio febbraio ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin, mentre secondo fonti governative del Guardian sta cercando di convincere l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump a fargli visita in Ungheria, in quella che sarebbe la prima visita all’estero di Trump dopo il suo mandato da presidente.
Euronews ha fatto notare che report indipendenti sulle elezioni parlamentari del 2018 hanno segnalato «documenti falsati, intimidazioni di elettori e scrutatori, episodi di compravendita di voti e trasporto irregolare di elettori da paesi stranieri». Da allora, continua Euronews, le segnalazioni di irregolarità sono addirittura aumentate durante le elezioni europee e quelle municipali del 2019. Ci sono tutte le ragioni, insomma, per pensare che Orbán e la sua cerchia ci riproveranno anche durante il voto di aprile.
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