
Partiamo dai papà. Ferdinand Emmanuel Edralin Marcos, morto nel 1889, è stato presidente-dittatore delle filippine ininterrottamente dal dicembre 1965, deposto dalla “rivoluzione del rosario” del 1986. Noto anche per le stravaganze della moglie Imelda, modella e reginetta di bellezza nota per le sue stravaganze nel lusso, come le tremila paia di scarpe, finita sotto processo per corruzione alla fine del potere del marito.
E il presidente uscente Rodrigo Roa Duterte detto The Punisher, il Castigatore, attribuitogli dalla rivista statunitense Time Magazine per via della rigida politica di ordine pubblico e della cosiddetta tolleranza zero applicata nei confronti delle organizzazioni criminali da sindaco nella città di Davao. Da presidente , ha condotto “guerra alla droga” che ha portato a nolte uccisioni extragiudiziarie.
Le elezioni prevedono il rinnovo di ben 18 mila cariche pubbliche nazionali e locali, ma l’attenzione è puntata sulla contesa per la successione alla presidenza. Duterte dovrà infatti abbandonare la carica per vincolo di un solo mandato previsto dalla Costituzione nazionale, dopo i tre mandati del despota Marcos. Alla campagna per le presidenziali prendono parte ben 10 candidati alla presidenza e nove alla vicepresidenza.
Sulle elezioni grava il lascito della sanguinosa lotta alla droga con una indiscriminata violazioni dei diritti umani che ha innescato una indagine della Corte penale internazionale a carico di Duterte.
Al centro del dibattito politico il tema particolarmente spinoso delle relazioni con la Cina, complicate dalla disputa territoriale che oppone i due Paesi nel Mar Cinese Meridionale. Il figlio dell’ex dittatore Marcos, probabile vincitore, non si è ancora pronunciato sulla linea che intende assumere nei confronti di Pechino.
A prescindere dalle priorità di politica interna, emerge con forza un tema cardine del prossimo futuro per le Filippine: il proprio posizionamento nella contesa tra Cina e Stati Uniti. Il Covid-19 ha accelerato il processo competitivo tra le due potenze, evidenziando la centralità strategica della regione indo-pacifica. Dall’inizio della presidenza di Duterte i rapporti economici e politici tra Manila e Pechino sono andati via via rafforzandosi, indebolendo di conseguenza l’intesa con gli Usa dell’allora presidente Donald Trump. Una tendenza durata fino allo scontro diplomatico della scorsa primavera quando le Filippine e la Cina sono arrivate ai ferri corti a causa della vicenda delle isole Spratly/Kalayaan, storica controversia territoriale tra i due paesi.
Un sondaggio condotto da Pulse Asia a fine anno, secondo l’Agenzia Nova, attribuisce a Marcos Jr. e Sara Duterte il 53 per cento dei consensi complessivi. Alla fine dello scorso anno Sara Duterte ha sorpreso il Paese annunciando la propria candidatura alla vicepresidenza come alleata di Marcos, in opposizione ai piani per la successione tracciati dal padre presidente uscente.
L’annuncio della candidatura di Marcos Jr alla presidenza ha innescato prevedibili polemiche e proteste da parte di manifestanti che hanno bruciato immagini di suo padre e dell’attuale presidente, Rodrigo Duterte. I manifestanti hanno ricordato le violazioni dei diritti umani avvenute tra il 1972 e il 1981, quando Marcos impose la legge marziale nel Paese.
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