Le battaglie virtuali al tempo dei tromboni

A un certo punto appaiono battaglie definitive. Battaglie epocali delle quali non si può fare a meno: si deve combattere, scegliere da che parte stare, esporsi e guerreggiare, dare di matto, delirare, offendere o sprezzanti ritirarsi in attesa di uno squarcio di sereno, di un appiglio. Ululare e costruire barricate, farsi sentire, farsi notare, farsi riconoscere non fosse altro come massa ululante, incavolata, o che sta serena e che fa della quisquilia l’ultimo bastione da difendere.

Ogni cittadino dotato di profilo social ha la sua posizione basata su certezze assolute e quindi acuminate. Guai a contraddirlo. Ogni ignorantone getta sul piatto della bilancia della conoscenza la spada di Brenno e guai ai vinti; che poi sarebbe una dichiarazione di guerra contro chi ha perso tempo a studiare, a riflettere, ad esercitare le arti, a fare filosofia, a fare informazione in un’epoca in cui pensiero e conoscenze sono dettagli insignificanti. 

Sono i tempi dei tromboni e del loro potere mediatico. Perché i colpevoli del clangore social, con declinazioni ululanti nella vita reale, nelle piazze, dei locali pubblici, sono loro stessi vittime di un sistema di comunicazione assurdo e funzionale. 

Magari i soloni dei salottini mediatici, i giornalistoni quattro stagioni, i politici dallo slogan scritto sul polsino, un ruolo ce l’hanno in questa fanfara di idee per sentito dire e di pensosa fumosa caciara. Certo che ce l’hanno, sanno poco e disquisiscono su tutto: sul linguaggio dei poveri, sulla poca eleganza dei disoccupati, sul calcio, sui lucky loser del tennis, sul colore della pelle, sui vaccini, su Sanremo, sulla schwa, sulle trasgressioni vecchie di 50 anni. indifferentemente, senza avere alcuna vergogna. 

Meglio il silenzio che questa confusione ridicola. 

Esagerato. Così sintetizza il barbiere anarchico, alchimista rurale, rifilando con cura la basetta sinistra del geometra Sorichilli. La libertà ai tempi dei social, con l’aggravante del Covid, prevede necessarie esternazioni. Per iscritto o a voce alta, sempre per sentito dire. Come se l’esperienza si fosse allontanata dalle nostre capacità di osservare e comprendere la realtà. Anzi, direi che l’esperienza, il fare del pensiero un’azione che abbia un minimo di rilevanza, sono finiti nella pattumiera dell’epoca. Più filosofo che mai, il barbiere.

Il geometra tace e acconsente, mai opporsi dialetticamente quando l’alchimista impugna il rasoio affilato. È la cosa migliore da fare in un contesto del genere, scientificamente è la più vantaggiosa. 

Che poi parliamo di battaglie virtuali eh – conclude rasoiando con coraggio e fiducia. Battaglie delle quali non ne sentivamo la necessità, così potenti da occupare lo spazio scenico per intero, fino a seppellire tutto il resto della narrazione della realtà sotto una montagna di parole, posizioni radicali, cavolate sparate alzo zero, interminabili chat su insignificanti dettagli che la storia faticherà a considerare. Anzi, qualora la storia se ne occupasse, sarà per farsi due risate. 

Come noi poveri anarchici dal cuore tenero quando leggiamo i corsivi indignati degli zii acidi della carta stampata, arroccati tra i loro cristalli e merletti, mentre fuori nella realtà l’ingiustizia sociale fa strage. E siamo solo all’inizio.

Tags: Polemos
Condividi:
Altri Articoli
Remocontro