Il difficile accordo sul nucleare iraniano che ora serve a Biden

Per la Casa Bianca c’è tempo fino alla fine febbraio per salvare l’accordo sul nucleare iraniano, il Joint Comprehensive Plan of Action, stracciato da Trump. Tre funzionari dell’Amministrazione Biden hanno detto alla Cnn che, altrimenti, bisognerà rivedere i piani e “lanciare sforzi aggressivi per impedire a Teheran di ottenere un’arma nucleare”. Minaccia quasi all’israeliana. Ma cosa sta accadendo a Vienna?

Molta prudenza

Gli iraniani e gli inviati europei, russi e cinesi hanno ricominciato a parlarsi martedì scorso e, per ora, da questo “round decisivo” non emerge nulla di nuovo, segnala Cecilia Sala sul Foglio. Infatti il ministro degli Esteri della Repubblica islamica ha detto “finché gli occidentali non dimostrano un po’ di realismo non ci possono essere passi avanti”. Un già visto dai mesi scorsi, con qualche diffidenza in più. Per Ali Shamkhani, degli americani non ci si può fidare: «sono incoerenti». Guardando il caos Ucraina non è facile dargli torto.

Il veri ministro degli esteri

Ali Shamkhani è il segretario del Consiglio per la sicurezza nazionale, il vero ministero degli Esteri iraniano,  scelto direttamente dalla Guida e occupa quella posizione da nove anni. Quando il ministro degli Esteri ha aperto all’ipotesi di colloqui diretti con gli Stati Uniti per accorciare i tempi, Ali Shamkhani lo ha fermato. «Alle orecchie degli americani le dichiarazioni che arrivano da Teheran suonano come una beffa, visto che hanno appena fatto un passo non scontato e venerdì hanno eliminato un pacchetto di sanzioni consentendo a un po’di imprese russe, cinesi ed europee di ripristinare i loro commerci».

Sanzioni più morbide

Il ringraziamento è stato l’annuncio da parte di Teheran di un pacchetto di spesa pubblica multimiliardario “per resistere alle sanzioni”. Che non dovrebbe essere una priorità se davvero l’accordo va chiuso entro febbraio con le sanzioni completamente rimosse. «A Teheran pensano che Biden abbia speso talmente tanto capitale politico nel salvataggio dell’accordo voluto da Barack Obama e abbandonato da Donald Trump che non sarà lui a far saltare il tavolo». Poi il protrarsi degli ultimatum: prime entro fine gennaio, ora da metà a fine febbraio. Gli iraniani credono che Biden non si possa permettere un altro scenario di tensione oltre all’Ucraina e, rispetto alla recessione interna.

La reazione in casa Dem

Tra i diplomatici di Teheran circola una battuta: “Leggere più tweet di Ted Cruz e meno messaggi di Robert Malley”. Il primo è il senatore repubblicano che aveva scritto su Twitter che anche se Biden sigla l’accordo, appena i repubblicani hanno la maggioranza al Congresso o tornano alla Casa Bianca, lo fanno saltare. Il bis. Il secondo, Malley, è l’inviato speciale di Biden per l’Iran. Lunedì Cruz ha twittato di nuovo, per annunciare che ha spedito una lettera al presidente in cui chiede che qualsiasi nuovo accordo con l’Iran venga votato dal Congresso. E la scorsa settimana il presidente della commissione Esteri del Senato, il democratico Bob Menendez, ha criticato la politica di Biden sull’Iran in Parlamento.

Accordo a scadenza programmata?

«Se chiudono l’accordo – è il ragionamento iraniano– si tratta di un patto con sopra una data di scadenza. E molti in Iran pensano che nessun accordo è meglio di uno a termine, mentre il nucleare iraniano cresce e facilmente si trasforma dalla versione civile, con bombardamenti israeliani già preventivati.

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