
Martedì la Commissione Europea ha informato la Polonia che inizierà a trattenere una parte dei fondi del bilancio europeo che le sono destinati per compensare una multa comminata dalla Corte di Giustizia europea, il principale tribunale dell’Unione, che il governo polacco si rifiuta da mesi di pagare. Una multa riguarda lo stato di diritto interno, mentre l’altra nasce da un conflitto con i vicini della Repubblica Ceca a proposito di una miniera di carbone. È la prima volta nella storia che la Commissione utilizza questo strumento a sua disposizione.
La Polonia è uno dei paesi più poveri dell’Unione, e come tale uno dei maggiori beneficiari dei fondi del bilancio europeo. Fra il 2021 e il 2027 dovrebbe ricevere in tutto circa 78 miliardi di euro, fondamentali per la propria economia. La speranza delle istituzioni europee è che l’entità delle multe convinca la Polonia a rispettare le sentenze della Corte di Giustizia. «Situazione non sostenibile», ha detto al New York Times l’analista Georg Riekeles, dell’European Policy Center: «La Polonia sarà costretta a prendere una decisione politica».
L’8 febbraio, a Berlino, si sono incontrati il cancelliere Olaf Scholz (di ritorno da Washington), il presidente polacco Andrzej Duda e il presidente francese Emmanuel Macron, in arrivo da Kiev. «Il vertice è stato tutt’altro che banale», avverte Pierre Haski, su France inter.
«In questo momento assistiamo a una svolta della Polonia, paese guidato da un partito nazionalista-conservatore, Legge e giustizia (PiS), che fino a questo momento è stato in aperto conflitto con Bruxelles. Chiamiamolo il “miracolo di Putin”: oggi Varsavia ha chiaramente stabilito che la minaccia russa è più grave dell’“imperialismo di Bruxelles”, e cerca di riavvicinarsi ai suoi partner».
La svolta la settimana scorsa. Il presidente Duda, fedele seguace politico della linea dure del leader nazional bigotto Kaczynski, ci ripensa e propone la soppressione della ‘camera disciplinare della corte suprema’, (il modo dell’esecutivo per controllarla), all’origine delle sanzioni imposte alla Polonia dall’Unione europea. Ammissione presidenziale: «Non abbiamo bisogno di questa battaglia. Ciò di cui ha bisogno la Polonia in questo momento è la calma. Davanti a tutte le minacce esistenti sulla scena internazionale servono un dialogo pacato e l’unità».
«In questo paese spaccato il parlamento ha votato all’unanimità (meno un voto dell’estrema destra) il sostegno all’Ucraina contro la Russia e un appello alla Germania affinché blocchi l’entrata in funzione del gasdotto Nord stream 2, che trasporterà il gas russo», annota ancora Hasky.
Ma ora la Polonia si trova in una posizione di equilibrio instabile, perché alcuni dei suoi amici politici all’estrema destra dello scacchiere politico europeo sono apertamente favorevoli a Putin. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán, anche lui in conflitto con Bruxelles, ha rotto i ranghi correndo a Mosca a negoziare un accordo per la fornitura di gas direttamente con Putin. Ora il ripescaggio a sorpresa del ‘triangolo di Weimar’. L’organismo era stato creato nel 1991, dopo la caduta del muro di Berlino, con l’obiettivo di associare la Polonia, il più grande paese dell’Europa centrale, al tandem franco-tedesco, tradizionale motore dell’Europa. Ma la svolta populista della Polonia e di altri paesi ha fatto fallire il progetto.
«Questo riavvicinamento con la Francia e la Germania sarà duraturo? Difficile dirlo, perché il governo polacco resta ultraconservatore (la legge contro l’aborto del 2021 è una delle peggiori d’Europa) e non permette alleanze forti». In seguito Varsavia ha scelto di fare parte del gruppo di Visegrád con Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, una forza euroscettica che ha cominciato ad avere un peso considerevole».
Oggi però il vento soffia in altre direzioni, rimarco Haski su Internazionale. Andrej Babiš, ex primo ministro populista ceco, ha ceduto il posto a un governo filoeuropeo, mentre le elezioni in Ungheria in programma ad aprile saranno molto combattute. Varsavia in retromarcia sembra tornata a un modello diplomatico meno aggressivo che rimette la Polonia al centro dell’ingranaggio europeo.
Questi sono gli effetti collaterali della crisi russo-ucraina, un’onda d’urto di cui non abbiamo ancora registrato tutte le conseguenze.