Serbia-Australia, dopo il caso Djokovic la guerra del Litio. Intanto in Messico..

La Serbia ambientalista (ma non solo), provoca una quasi guerra tra Beograd e Sidney, peggio che per il tennista Djokovcic espulso. Ritirata la concessione a una multinazionale di Melbourne nonostante il minerale sia strategico e il suo prezzo sia cresciuto del 437% in un anno, informa sul Corriere della sera Claudio Del Frate. Ed è partita strategica a livello planetario per il minerale base per la produzione delle batterie per le auto elettriche. E il Messico nazionalizza le sue miniere, con la rabbia, questa volta di Pechino.

Beograd ambientalista a perdere

Il governo della Serbia ha deciso di revocare definitivamente i permessi per l’estrazione del litio – minerale raro considerato strategico per il futuro – inizialmente concessi a una multinazionale del settore. La società ad essere colpita è la Rio Tinto, a capitale anglo australiano, la terza al mondo del settore, ed è anche per questo che molta stampa locale ha legato lo stop alla maniera al recente caso Djokovic, il grande tennista un po’ bugiardo sulla regole anti covid imposte dall’Australia  per la partecipazione agli open di tennis. Una presunta «ritorsione» da parte del governo di Belgrado, di fatto costretta dalla  grandi proteste ambientaliste contro l’avvio dell’attività estrattiva. Oppure –ogni dietrologia richiama il suo opposto-, il non vaccino di Djokovic, una vendetta australiana per la retromarcia sul progetto.

Serbia-Rio Tinto dal 2006

Il dialogo minerario tra il governo serbo e la Rio Tinto risale al 2006. La scoperta, in un’area lungo il fiume Jadar, a sud del Paese, vicino al confine con la Bosnia, un grande giacimento di litio, minerale strategico per più usi, il principale,  la costruzione di batterie per le auto elettriche. La richiesta è in costante ascesa, basti pensare che nel corso del 2021 il prezzo del litio è cresciuto del 437%, rimarca Del Frate. «E nella regione dello Jadar il litio abbonda: si stimano 136 milioni di tonnellate, una delle riserve più grandi del pianeta». Parte la gara per ottenere la concessioni per estrarre, e la Rio Tinto, nel luglio 2021, propone alla Serbia che non nuota certo nell’oro, un investimento di 2,5 miliardi di euro per inaugurare l’attività estrattiva nel 2027.

Fiume Jadar trincea ecologista

Tempi di decisione balcanici mentre crescono le preoccupazioni ambientali su un’area molto vasta. Inquinamento delle acque , disboscamenti, esalazioni. Ma anche eccessive concessioni agli interessi privati della multinazionale. Il governo serbo è sotto pressione e sotto sospetto, e con le elezioni alle porte e il dialogo con Bruxelles per l’adesione alla Ue, frena e alla fine rompe. Il 7 gennaio la premier Ana Brbic annuncia che lo strappo con la multinazionale è vicino. A metà dello stesso mese esplode il caso Djokovic, con il numero uno del tennis mondiale bloccato al suo sbarco in Australia perché non vaccinato. Storia stra nota, e  il 16 dello stesso mese espulso dal Paese. Il 20 gennaio -quattro giorni dopo- Belgrado annuncia che la concessione alla Rio Tinto è stata ritirata: il progetto salterà nonostante il suo valore economico e strategico.

La politica locale gioca sul tennis

E la politica spregiudicatamente cavalca l’orgoglio sportivo nazionale offeso. Djokovic trascinato, «senza la sua volontà né malizia, in un gioco politico» dichiara il ministro degli esteri serbo Starovic. Ed insegue lo stesso premier Alexander Vucic. Rompe gli equivoci il quotidiano di Belgrado Republika secondo il quale l’espulsione del campione di tennis da parte del governo australiano sarebbe un «danno collaterale», una «vendetta trasversale» per le proteste contro la miniera della Rio Tinto. Lo stesso Djokovic, sui suoi canali social, aveva pubblicato immagini delle manifestazioni ambientaliste. Non facile da credersi ma nei Balcani dove una feroce guerra fratricida che ha cancellato la Jugoslavia è esplosa durante una partita di calcio, anche l’assurdo diventa possibile. Resta il fatto l’estrazione del litio serbo è bloccata. Almeno per ora, difficilmente per sempre.

Litio, muraglia anti-cinese in Messico

Al posto della valle dei fiume Jadar, in Messico la guerra del Litio in Messico esplode tra le rocce argillose della Sierra Madre occidentale, a Bacadéhuachi, un minuscolo villaggio di appena mille abitanti, precisa Luvia Capuzzi su Avvenire. Una comunità affamata di agricoltori e pastore che scopre di avere sottoterra circa  3,5 milioni di tonnellate di litio. E la fiaba diventa inferno. Da qui il recente annuncio del presidente: «Creeremo un’impresa messicana per il litio. Non vogliamo diventare campo di battaglia tra le grandi potenze, come la Russia, la Cina o gli Stati Uniti. È una risorsa del nostro popolo». La nazionalizzazione del minerale, in quanto «risorsa strategica», è stata inclusa all’interno della riforma elettrica che, in quanto legge di rango costituzionale, prevarrebbe sulla normativa ordinaria.

Ma la guerra lì è con Pechino

Ma ci sono concessioni già accordate. In primis quella ottenuta nel 2018, durante il governo di Enrique Peña Nieto – dalla compagnia anglo-canadese Bacanora Lithium, di recente acquistata dal colosso di Pechino Gangfeng. Non è un caso, dunque, la menzione presidenziale del Dragone. Addirittura, López Obrador ha minacciato un’indagine per verificare che la Commissione per la concorrenza economica non abbia volutamente favorire il governo cinese con la concessione del Sonora. Il braccio di ferro, però, è appena cominciato. Alle questioni legali ed economiche – la Camera mineraria messicana ha avvertito che la nazionalizzazione potrebbe essere «molto onerosa» per la nazione –, si somma il grande scoglio della mancanza di capacità tecniche necessarie per l’estrazione. Un problema analogo a quello in cui si era trovata la Bolivia di Evo Morales , nella cui sterminata distesa del Salar si trova la metà delle riserve internazionali del metallo.

Pechino preme con argomenti forti.

Gangfeng vuole iniziare l’estrazione delle prime 20mila tonnellate entro l’anno prossimo per poi portarla a oltre 50mila, al costo di due miliardi di dollari

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