Irlanda del nord, si dimette in premier ed è crisi con Londra sulla Brexit di Boris Johnson

Il primo ministro dell’Irlanda del Nord, Paul Givan, si è dimesso, in polemica con l’accordo Brexit firmato da Londra. In particolare, Givan e il Partito Democratico Unionista, il DUP, protestano contro i controlli e le pratiche burocratiche per le merci in arrivo dal resto del Regno Unito in Irlanda del Nord, che è rimasta all’interno dell’unione doganale europea per non dover rimettere confini tra le due Irlanda.
Probabili elezioni politiche anticipate con la possibilità che vinca il partito repubblicano per una sola Irlanda nell’Unione europea.
Colpo al governo Johnson che il DUP sostiene, e fuga di collaboratori del premier, sempre più solo.

Il premier irlandese dimissionario

Una crisi più grave di ciò che appare

Paul Givan si è dimesso al culmine di tensioni cresciute soprattutto negli ultimi giorni: mercoledì il ministro dell’Agricoltura del suo governo, Edwin Poots, aveva ordinato la sospensione immediata di alcuni dei controlli doganali a partire dal giorno successivo. Il giorno dopo la Commissione Europea aveva detto che i controlli sarebbero invece rimasti in vigore, indipendentemente dalle decisioni del governo di Givan, che si è quindi dimesso. A seconda di come evolverà la crisi di governo, le dimissioni di Givan potrebbero portare a elezioni anticipate rispetto a quelle naturali previste il prossimo maggio.

Troppi conti mal fatti sulla Brexit

L’accordo contestato da Belfast, fu firmato proprio da Boris Johnson per arrivare comunque al divorzio con l’Unione europea, senza scardinare i difficili e ancora precari equilibri tra le due Irlanda, e fu avallato -utile ricordarlo-, anche dal Dup. Quadratura del cerchio per preservare lo statuto costituzionale del Nord nel Regno Unito e la necessità di evitare un ritorno a un confine duro tra le due Irlanda, come previsto dagli accordi di Belfast del 1998. Il problema del libero passaggio di persone e merci con tutta l’isola che resta doganalmente nell’Ue, col controllo delle merci britanniche ormai extracomunitarie. Certamente un impiccio senza facili soluzioni legato anche alla linea dura adottata allora da Londra nella difficile trattativa con l’Unione.

Cosa potrebbe accadere ora

La mossa di Givan appare motivata da una paura che circola tra gli unionisti. Una sorta di accerchiamento. La progressiva perdita di consenso del conservatore Boris Johnson, il cui ruolo è oramai sostenuto a Westminster quasi soltanto dal Dup, e dall’altro per i sondaggi che parlano della concreta possibilità che Sinn Féin, il partito repubblicano per l’unione con Dublino, alle elezioni di maggio, possa ottenere per la prima volta la maggioranza dei consensi nel Nord, dopo aver già ottenuto un simile risultato nella Repubblica nelle elezioni del 2020. Interessante la posizione del governo britannico che ha espresso un «estremo disappunto» nei confronti della decisione di Givan. Una preoccupazione condivisa dal primo ministro irlandese, Michael Martin per la probabili tensioni che si produrranno nel corso di una tesissima campagna elettorale.

E altri guai per Boris

Proprio ieri, oltre alle dimissioni del sua alleato chiave Irlandese, il capo del governo inglese ha assistito all’addio di quattro cruciali collaboratori in una sola giornata: il capo dello staff Dan Rosenfield, il segretario privato Martin Reynolds, il capo delle Comunicazioni di Downing Street, Jack Doyle, e nel giro di qualche ora anche la stratega Munira Mirza, una delle sue responsabili politiche, tra l’altro vicina al ministro delle Finanze Rishi Sunak, il più pericoloso sfidante alla leadership di Johnson. Tutto per colpa di una battuta del premier considerata triviale, definita «inappropriata e partigiana», e diretta al leader dell’opposizione laburista, Keir Starmer. La sensazione –scrivono gli osservatori da Londra-, è che si tratti delle avvisaglie del golpe che potrebbe consumarsi entro qualche settimana ai danni di BoJo.

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