
Paul Givan si è dimesso al culmine di tensioni cresciute soprattutto negli ultimi giorni: mercoledì il ministro dell’Agricoltura del suo governo, Edwin Poots, aveva ordinato la sospensione immediata di alcuni dei controlli doganali a partire dal giorno successivo. Il giorno dopo la Commissione Europea aveva detto che i controlli sarebbero invece rimasti in vigore, indipendentemente dalle decisioni del governo di Givan, che si è quindi dimesso. A seconda di come evolverà la crisi di governo, le dimissioni di Givan potrebbero portare a elezioni anticipate rispetto a quelle naturali previste il prossimo maggio.
L’accordo contestato da Belfast, fu firmato proprio da Boris Johnson per arrivare comunque al divorzio con l’Unione europea, senza scardinare i difficili e ancora precari equilibri tra le due Irlanda, e fu avallato -utile ricordarlo-, anche dal Dup. Quadratura del cerchio per preservare lo statuto costituzionale del Nord nel Regno Unito e la necessità di evitare un ritorno a un confine duro tra le due Irlanda, come previsto dagli accordi di Belfast del 1998. Il problema del libero passaggio di persone e merci con tutta l’isola che resta doganalmente nell’Ue, col controllo delle merci britanniche ormai extracomunitarie. Certamente un impiccio senza facili soluzioni legato anche alla linea dura adottata allora da Londra nella difficile trattativa con l’Unione.
La mossa di Givan appare motivata da una paura che circola tra gli unionisti. Una sorta di accerchiamento. La progressiva perdita di consenso del conservatore Boris Johnson, il cui ruolo è oramai sostenuto a Westminster quasi soltanto dal Dup, e dall’altro per i sondaggi che parlano della concreta possibilità che Sinn Féin, il partito repubblicano per l’unione con Dublino, alle elezioni di maggio, possa ottenere per la prima volta la maggioranza dei consensi nel Nord, dopo aver già ottenuto un simile risultato nella Repubblica nelle elezioni del 2020. Interessante la posizione del governo britannico che ha espresso un «estremo disappunto» nei confronti della decisione di Givan. Una preoccupazione condivisa dal primo ministro irlandese, Michael Martin per la probabili tensioni che si produrranno nel corso di una tesissima campagna elettorale.
Proprio ieri, oltre alle dimissioni del sua alleato chiave Irlandese, il capo del governo inglese ha assistito all’addio di quattro cruciali collaboratori in una sola giornata: il capo dello staff Dan Rosenfield, il segretario privato Martin Reynolds, il capo delle Comunicazioni di Downing Street, Jack Doyle, e nel giro di qualche ora anche la stratega Munira Mirza, una delle sue responsabili politiche, tra l’altro vicina al ministro delle Finanze Rishi Sunak, il più pericoloso sfidante alla leadership di Johnson. Tutto per colpa di una battuta del premier considerata triviale, definita «inappropriata e partigiana», e diretta al leader dell’opposizione laburista, Keir Starmer. La sensazione –scrivono gli osservatori da Londra-, è che si tratti delle avvisaglie del golpe che potrebbe consumarsi entro qualche settimana ai danni di BoJo.