
Le massicce requisizioni di terre e proprietà, le uccisioni illegali, i trasferimenti forzati, le limitazioni al movimento e il diniego di nazionalità e cittadinanza «fanno parte di un sistema che, secondo il diritto internazionale, costituisce apartheid». Delitto contro l’umanità lo definisce lo Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale e la Convenzione sull’apartheid.
«Che vivano a Gaza, a Gerusalemme Est, a Hebron o in Israele, i palestinesi sono trattati come un gruppo razziale inferiore e sono sistematicamente privati dei loro diritti». La comunità internazionale ha l’obbligo di agire, dichiara Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
Nel 2018 i palestinesi di Gaza avviarono proteste settimanali lungo il confine con Israele per affermare il diritto al ritorno dei rifugiati e chiedere la fine del blocco. «Ancora prima che le proteste avessero inizio, alti funzionari israeliani avvisarono che contro i palestinesi che si fossero avvicinati al confine sarebbe stato aperto il fuoco. Alla fine del 2019, le forze israeliane avevano ucciso 214 civili palestinesi, tra cui 46 minorenni».
Amnesty International riconosce che gli ebrei, come i palestinesi, rivendicano il diritto all’ autodeterminazione e non contesta il desiderio di Israele di essere una patria per gli ebrei. Analogamente, non considera che la definizione che Israele dà di sé stesso come di “uno stato ebreo” indichi di per sé l’intenzione di opprimere e dominare. «Via via, però, i governi israeliani hanno considerato i palestinesi una minaccia demografica e hanno imposto misure per controllare e farne decrescere la presenza e l’accesso alle terre in Israele e nei Territori palestinesi occupati».
I palestinesi israeliani godono di maggiori diritti e libertà rispetto a quelli dei Territori palestinesi occupati, mentre l’esperienza dei palestinesi di Gaza è molto differente da quella di coloro che vivono in Cisgiordania. Comunque tutti i palestinesi sono sottoposti al medesimo sistema israeliano sovrastante.
I cittadini palestinesi di Israele, circa il 21 per cento della popolazione, divenuti ‘ospiti’. Nel 2018 una legge costituzionale che, per la prima volta, descrive Israele come “stato-nazione del popolo ebreo”, promuove la costruzione degli insediamenti ebraici e degrada l’arabo da lingua ufficiale a lingua con uno status speciale.
Una barriera di 700 chilometri, che Israele sta ancora ampliando, ha isolato all’interno di “zone militari” molte comunità palestinesi. Amnesty International ha esaminato le giustificazioni di sicurezza addotte da Israele come base per il trattamento dei palestinesi. «Sebbene alcune delle politiche israeliane possano essere state elaborate per conseguire obiettivi di sicurezza legittimi, esse sono state attuate in un modo enormemente sproporzionato e discriminatorio e non in regola col diritto internazionale».
Amnesty International in realtà si unisce all’accusa già rivolta a Israele da Human Rights Watch lo scorso aprile, e poco più di un anno fa da B’Tselem, la più nota e stimata (all’estero) Ong israeliana per i diritti umani.
Il ministero degli esteri israeliano ha diffuso ieri sera una dura risposta. «Nel pubblicare questo falso rapporto, Amnesty usa doppi standard e la demonizzazione per delegittimare Israele. Queste sono le componenti esatte da cui è fatto l’antisemitismo moderno», si legge in un comunicato diffuso ieri sera. Ovviamente Amnesty respinge le accuse di antisemitismo che considera un tentativo di distogliere l’attenzione dalla violazione dei diritti umani dei palestinesi.
Contro Amnesty e il suo rapporto era cominciato già tre giorni un intenso fuoco di sbarramento, annota Michele Giorgio, NenaNews. Particolarmente dura Ngo Monitor, un’associazione legata alla destra israeliana nota per la sistematica denuncia di favorire il terrorismo che ha rivolto a numerose Ong straniere, ha anticipato sui social diverse pagine del rapporto di Amnesty suscitando le reazioni di numerosi cittadini israeliani e di sostenitori di Israele all’estero. Ma le critiche all’organizzazione dei diritti umani non entrano mai nel merito del rapporto.
Amnesty –ad esempio-, è accusata di non rivolgere le sue indagini ad altri Stati o, ad esempio, di non operare a difesa dei cristiani oppressi e perseguitati in vari paesi. Una reazione non nuova che vuole Israele preso di mira ingiustamente mentre gravi violazioni dei diritti umani avvengono in molti altri luoghi del pianeta, nel quadro di una campagna messa in atto da Ong e associazioni che appoggiano i palestinesi.
Secondo il professor Gerald Steinberg dell’Università Bar Ilan (Tel Aviv) e direttore di Ngo Monitor, la campagna contro Israele e l’accusa di Apartheid hanno avuto inizio a Durban nel 2001 con la «Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza» delle Nazioni Unite, organizzata a suo dire per isolare e condannare Israele. Per Steinberg, il direttore di Human Rights Watch, Ken Roth, ha una «ossessione» per Israele e, afferma, con le sue accuse di Apartheid avrebbe ottenuto visibilità e finanziamenti generosi per la sua Ong.
Ora, scrive Steinberg in un articolo, «Questa campagna è stata ripresa da Amnesty International e da altre potenti Ong con pregiudizi anti-israeliani, allo scopo di sfruttare in modo immorale le sofferenze delle vere vittime dell’Apartheid e del razzismo e trasformare una disputa politica in un conflitto razziale». Per il direttore di Ngo Monitor le denunce palestinesi e delle Ong per i diritti umani contro l’occupazione militare che dura da oltre 50 anni e la violazione di diritti sanciti dalle leggi internazionali, sarebbero solo una «disputa politica». Ieri si sono uniti alla condanna del rapporto di Amnesty anche l’Anti-Defamation League, Aipac e altre organizzazioni che sostengono Israele e riconducibili alla comunità ebraica americana.
«Il rapporto di Amnesty è antisemita, un riciclaggio di bugie, è la denuncia di Israele affidata al ministro degli esteri Yair Lapid, che bolla Amnesty come ‘organizzazione radicale’». «Israele – sono le parole del ministro – non è perfetta, ma è una democrazia impegnata nel diritto internazionale e aperta alle critiche». «Israele preso di mira come l’unico Stato ebraico».
Accuse di antisemitismo che Amnesty rimanda al mittente, e alla quali risponde ancora il segretario generale Callamard, per la quale «si tratta di critiche alle pratiche dello Stato di Israele e non una forma di antisemitismo che Amnesty ha sempre denunciato con forza».