L’acqua delle disuguaglianze. Reportage inchiesta di Piero Badaloni: Italia-Europa

Il 70% del pianeta è coperto dall’acqua, ma di questa, meno del 3% è dolce: due terzi sta nei ghiacciai, un terzo nel sottosuolo. Nei fiumi e nei laghi, è concentrato solo lo 0,3%. E’ pochissima dunque. La brutta notizia è che ne stiamo anche perdendo un po’. Negli ultimi venti anni la quantità di acqua dolce sulla terra, se vogliamo misurarla in altezza, è diminuita di un centimetro all’anno.

Italiani spreconi d’acqua

L’acqua sta diminuendo perché diminuisce la massa glaciale sulla terra per il surriscaldamento”, spiega Antonello Pasini, climatologo del CNR. Le risorse idriche sono in calo, ma gli italiani ne consumano sempre di più e abbiamo il primato del consumo in Europa. Prendiamo acqua soprattutto da sorgenti e falde sotterranee, che da noi abbondano: il 70% viene utilizzato per irrigare i campi, il resto dalle industrie e per gli usi domestici.
Siamo quelli con la maggiore quantità di acqua a disposizione, d’accordo, ma l’acqua non è un bene infinito, e se continuiamo a consumarne così tanta, nel 2040 rischiamo uno stress idrico. Succede quando le risorse disponibili scendono sotto il limite di guardia.
A lanciare l’allarme è stato un istituto di studi americano: ma quanti nel nostro paese sono consapevoli di questo rischio?

Acquedotti vergogna

I dati forniti dall’IPSOS, un’importante società di sondaggi, sono preoccupanti: il 48% degli italiani sottostima l’entità del proprio consumo, e solo due su dieci ritengono che la scarsità d’acqua sia un problema. “Il fatto è che andremo sempre peggio – dice Andrea Agapito, responsabile acque del WWF – un po’ per i cambiamenti climatici, un po’ per consumo del suolo, quindi dobbiamo far crescere la consapevolezza di questi problemi”.
In Italia inoltre, c’è un grande spreco di acqua, dovuto alla scarsa manutenzione delle reti idriche, da parte di chi le gestisce. Tra l’acqua immessa e quella erogata, se ne perde il 42%. Sono dati ISTAT.

Irresponsabilità pubblica dove l’acqua manca di più

Cosa si sta facendo per ridurre queste perdite? Utilitalia, la federazione che raccoglie 500 aziende del settore, ha censito 139 progetti di risanamento. La speranza è di poter contare sui fondi del recovery plan. Ma a muoversi sono soprattutto al nord e non dove invece c’è più bisogno di interventi.
Non solo bisogna evitare di sprecare l’acqua. bisogna anche fare in modo che l’acqua non si sporchi. E l’Italia, oltre al record per il consumo, ne ha un altro, di certo non invidiabile.

Inquinamento criminale

Il fiume Sacco, lungo 87 km, è il più inquinato d’Europa. Le sostanze tossiche presenti nelle sue acque, sono 8 volte superiori a quelle consentite. Tutto cominciò con la nascita del polo industriale di Colleferro, negli anni ‘50. Nel corso del tempo, ha inglobato la maggior parte dei 19 Comuni che si affacciano sul corso d’acqua, lungo la valle del Sacco.
Sono un centinaio le fabbriche: in buona parte producono fertilizzanti, cosmetici e altri prodotti chimici. Alcune, per scaricare i loro rifiuti, non hanno trovato di meglio che le acque del fiume e lo hanno contaminato per tutta la sua lunghezza.
La procura sta indagando per disastro ambientale plurimo. Una ventina le aziende prese in considerazione dagli inquirenti.

Avvelenatori seriali

Nelle acque del fiume, sono state rilevate grandi concentrazioni di tensioattivi. Sono le sostanze che danno origine alla schiuma, più volte apparsa sulla superficie. Meno visibili, ma forse più pericolosi, sono gli agenti chimici utilizzati per la preparazione dei vari prodotti industriali, anch’essi ritrovati in grande quantità nel fiume. Va ricordato che la valle del Sacco è un sito di interesse nazionale.
Nel 2019 sono state finalmente avviate le procedure per la bonifica e stanziati i primi fondi, destinati a 12 interventi prioritari, da completarsi entro il 2023. (Un anno e poco più, a volerci credere. NdR)
Ma il fiume Sacco non è un caso isolato. Legambiente calcola che negli ultimi 10 anni gli impianti industriali abbiano immesso, secondo dati forniti dalle stesse aziende, oltre 5.600 tonnellate di sostanze chimiche nei fiumi e nei laghi del nostro paese. Al loro inquinamento contribuiscono anche gli scarichi delle aziende agricole e quelli urbani.

Competenze e di proroga in proroga

Ad oggi il 60% dei nostri corpi idrici non è in buono stato di qualità. E’ l’esito dell’ultimo censimento fatto dagli enti istituzionali. “I fiumi e i laghi sono stati visti sempre come un ricettacolo dove scaricare sostanze inquinanti, osserva Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, non sono stati visti come un bene da tutelare”.
“Le tante competenze, da chi autorizza gli scarichi a chi monitora fiumi e laghi, a chi dovrebbe garantire la loro buona qualità, non dialogano tra loro” – prosegue Zampetti – “il mancato dialogo ha portato a questo risultato”.
Ma cosa fa l’Europa per tutelare i suoi fiumi e i suoi laghi? Nel 2000 la commissione europea aveva emanato una direttiva quadro con un obiettivo ambizioso: si voleva raggiungere un buon stato ecologico dei corpi idrici entro il 2015. Il termine però, è stato prolungato al 2027, perché solo il 39% dei laghi e fiumi europei lo ha finora raggiunto.
Di chi la colpa? e come evitare altri slittamenti? Rendendo più forte la governance comunitaria di tutela dei corpi idrici, sostiene il giovane commissario europeo all’ambiente, Virginijus Sinkevicius. Gli Stati devono rispettare con più rigore la normativa europea.

Milioni di barriere lungo i fiumi d’Europa

Ma c’è anche un’altra causa che impedisce di raggiungere un buon stato ecologico di fiumi e laghi. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, ci sono oltre 1.200.000 barriere che ostacolano il flusso dei corsi d’acqua del vecchio continente. Sono troppe e l’Agenzia ha deciso di eliminare quelle inutili o dannose, per evitare che i fiumi si inaridiscano, sconvolgendo l’ecosistema e prosciugando le falde sotterranee di acqua.
la Strategia sulla biodiversità messa a punto a Bruxelles, mira a riportare almeno 25.000 km di fiumi a flusso libero entro il 2030, ripristinando così le pianure alluvionali e le zone umide scomparse. E’ un obiettivo raggiungibile per quella data? In molti paesi europei si è già cominciato, in Italia ancora no.
“L’impegno è enorme soprattutto per noi, dove queste cose non sono state mai fatte – osserva Andrea Agapito, responsabile acque del WWF – dobbiamo impegnarci a cambiare il modo di gestire i fiumi e studiare i progetti il più presto possibile, perché il 2030 è vicino”.

Il Po malato grave

Tra i primi progetti presi in considerazione dal ministero per la transizione ecologica e che sarà finanziato con i fondi del PNRR, c’è quello che riguarda il Po, il fiume più grande d’Italia, ma anche il malato più grave. In più punti, negli ultimi decenni, è stato sconvolto il suo corso naturale.
Adesso spera nelle cure di coloro che fino a qualche tempo fa erano la causa del suo male: le associazioni dei cavatori. Grazie ad un accordo con il WWF, parteciperanno a un programma di “Rinaturalizzazione” del fiume, reso possibile dalla nuova strategia europea sulla biodiversità. Il Wwf otterrà il ripristino del Po “com’era dov’era”, togliendo in parte le opere che ne hanno modificato il corso.

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