
Rapporto pubblicato oggi da Greenpeace, da titolo chiaro e netto. «Dangerous man, dangerous deals», con l’elenco senza sconti sui i crescenti impatti negativi causati dal sistematico smantellamento della protezione dell’ambiente e dei diritti umani da parte del governo Bolsonaro negli ultimi tre anni.
«L’agenda politica del presidente brasiliano ha peggiorato le condizioni di ecosistemi preziosi per la salute del pianeta e di numerosissimi Popoli Indigeni che lottano per proteggerli. Nonostante ciò, l’Unione europea non solo ha continuato a fare affari con il Brasile, ma ha anche rispolverato l’accordo commerciale Ue-Mercosur, che rischia di inondare il mercato europeo di prodotti legati alla deforestazione e alla violazione dei diritti umani, come la carne, favorendo settori che aggravano la crisi climatica», denuncia Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia.
Dai dati raccolti dall’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE), nel 2019, anno in cui Bolsonaro entrò in carica, il tasso annuo di deforestazione in Amazzonia era di 7.536 chilometri quadrati. Tre anni dopo, l’INPE ha annunciato che, tra agosto 2020 e luglio 2021, sono stati distrutti 13.235 chilometri quadrati di Amazzonia: un aumento di deforestazione di oltre il 75 per cento rispetto al 2018. Un inesorabile peggioramento già dal primo anno di governo, in cui la deforestazione in Amazzonia era aumentata del 34%.
L’impunità che ha accompagnato l’aumento della deforestazione si è tradotta anche in un drammatico aumento degli incendi, spesso appiccati dolosamente per favorire l’espansione dell’agricoltura industriale e del settore estrattivo attraverso il cosiddetto “cambio di uso del suolo”, cioè l’eliminazione della vegetazione autoctona per fare spazio a piantagioni e pascoli, ma anche a infrastrutture e miniere. I dati triennali diffusi dall’INPE mostrano, per esempio, un incremento del 15 per cento di incendi nel Cerrado, la savana più ricca di biodiversità del pianeta, e del 218 per cento nel Pantanal, la zona umida più grande del mondo.
Gli incendi hanno anche un impatto negativo sul clima col rilascio di grandi quantità di gas a effetto serra. Dati raccolti dal Greenhouse Gas Emissions and Removals Estimating System, mostrano che le emissioni di gas serra in Brasile sono aumentate del 9,5% dall’entrata in carica di Bolsonaro. Durante l’anno successivo, cioè il 2020, il Brasile ha emesso 2,16 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, la quantità più elevata dal 2006.
Registrato anche un considerevole aumento dei conflitti per la proprietà delle terre e delle violazioni dei diritti umani. Commissione Pastorale per la Terra mostrano che nei primi due anni del governo Bolsonaro c’è stato un aumento di circa il 40 per cento del numero di conflitti per le terre, finiti spesso con la morte morte di quelli schiarati per difenderle. Nel 2020 circa 1.576 controversie riguardanti la proprietà dei terreni (in genere riguardano Popoli Indigeni), il numero più alto dal 1985.
Le prossime elezioni presidenziali in Brasile ad ottobre di quest’anno. Negli ultimi due anni l’indice di gradimento di Bolsonaro è stato trascinato verso il basso da scandali e accuse di corruzione su di lui e il suo entourage politico. Basti pensare alle dimissioni dell’ex ministro dell’Ambiente Ricardo Salles, indagato dalla Corte suprema per aver interferito nelle indagini sulle esportazioni illegali di legname. «Se l’Unione europea vuole davvero proteggere foreste e biodiversità, deve fermare l’accordo Ue-Mercosur e consumo di prodotti e materie prime legati alla distruzione di ecosistemi preziosi per la salute del pianeta e alla violazione dei diritti umani».