
Da mesi gli esperti del Pentagono, nell’ipotesi di intervento russo in Ucraina indicano come obiettivo più vulnerabile e probabile la città portuale di Mariupol, a metà strada tra la Crimea, già annessa da Mosca, e il Donbass dei filo russi ormai dal 2014. «Potrebbe essere questa ‘l’incursione minore’ evocata da Biden nella conferenza stampa dell’altro giorno?», si chiede di Giuseppe Sarcina sul Corriere della sera. Molto probabile. Ma era un’informazione che non doveva diventare pubblica.
La Casa Bianca a cercare di recuperare. Biden, alla tv Abc, si auto smentisce: «qualsiasi sconfinamento delle truppe russe sarà considerato un’invasione. La reazione degli Stati Uniti sarà rapida, durissima e unitaria». A pappagallo il segretario di Stato Blinken ripete, durante l’incontro con la ministra tedesca per trattare sul gasdotto Nord Stream2. E dovrà essere lui oggi a Ginevra a cercare col collega russo Lavrov una via d’uscita senza alcun intervento armato. Ipotesi in campo, se non scoppia la guerra subito, la possibilità di un altro summit tra Biden e Vladimir Putin.
Allarme a Kiev da dove le notizie solo difficili come la pratica della democrazia: nessuna notizia sul processo per tradimento all’ex presidente Poroshenko, mentre veniamo informati che il presidente Zelenski ‘ha reagito con irritazione’, al poi rimangiato distinguo tra «Incursione e invasione». Nel gran pasticcio che si è creato prova a inserirsi anche il turco Ergogan, che di grane in casa sua ne avrebbe già abbastanza, che ora propone un del tutto improbabile faccia a faccia tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelenski.
L’agenzia ANSA intanto segnala che Gli Stati Uniti hanno approvato la richiesta dei Paesi baltici di inviare armi americane all’Ucraina. Armi sponsorizzate. Lo ha riferito un funzionario del Dipartimento di Stato a Berlino al seguito di Blinken. Rilancio su rilancio, l’Alleanza atlantica potrebbe spostare più forze militari sul fianco est, proprio nei Paesi baltici, per esempio, e conferma Stoltenberg. Poi il bis Finlandia, Stato neutrale dal dopoguerra, che potrebbe chiedere l’adesione alla Nato.
Quasi che qualcuno cercasse l’occasione di una guerra. Da leggere l’interessante sintesi sui più recenti falsi “casus belli”, di Tommaso Di Francesco sul manifesto, fonte il generale Nato Fabio Mini. «Il falso il pretesto dell’incidente del Tonchino che diede il via all’intervento degli Stati uniti in Vietnam; come era falso il massacro di Racak del 1999, che fornì il pretesto per la guerra Nato in Kosovo; come era falso il pretesto delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein».
Partita pro o contro in bilico sul fronte di una nuova guerra in pieno corso e dai minacciosi esiti incerti
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