
Meglio gli insulti che le cannonate un tempo si sarebbe detto. Bis del vertice Usa Russia di Ginevra dove tutte le parti debbono recitare la loro parte in commedia, prima di iniziare a riscrivere, si spera, il copione. Ormai a fine incarico, il segretario generale dell’Alleanza Stoltenberg, svedese a ispirazione Usa, spara sul «rischio reale di un nuovo conflitto armato in Europa». Per fortuna, sia la Casa Bianca che le capitali europee hanno dichiarato più di una volta che ‘nessuno vuol morire per Kiev’. Massimo, sanzioni e guerra solo commerciale. Che, con i prezzi di gas russo che volano più delle tensioni politiche, già fanno assaggiare cosa avremmo in cambio.
Ma al quartier generale Nato di Bruxelles, nessuno si alza dal tavolo sbattendo la porta. La parte del confronto in vetrina, ma le decisioni che seguiranno -buone o cattive-, saranno certamente segrete. E soprattutto in forma bilaterale Usa-Russia, senza la presenza oggi del rappresentante dell’Unione europea Borrel. Rischio di ritorni alla guerra fredda, l’accusa Nato a Mosca, che insiste sulla sua libertà di accogliere nell’Alleanza chi vuole, Ma sempre verso est. Replica del viceministro russo a Grushko: «È la Russia a essere preoccupata dal ritorno della Nato a modelli dell’era della Guerra Fredda».
Oggi altro round della stessa partita in diverso ‘campo di gioco’. Prima Ginevra, poi Bruxelles, ora Vienna, sede dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, invenzione di dialogo Est-Ovest nata proprio dalla Guerra Fredda, annota Angela Mauro sull’HuffPost, per tentare di allargare il confronto oltre lo scoglio Ucraina su temi decisamente più importanti, vedi la questione del disarmi nucleare, decisamente più importanti per il futuro del mondo. Mentre giovedì e venerdì a Brest in Francia, tour diplomatico d’Europa più veloce di Omicron, si riuniscono in via informale i ministri europei degli Esteri e della Difesa.
Dunque, nessuno al vertice del Consiglio Nato-Russia ha ottenuto quello che chiedeva. E a questo punto, per tentare di capire, occorre inseguire il “non detto”. Le tensioni ripetute tra Nato e Russia, e sempre nella stessa direzione, verso est. Dal 1991 in avanti. Trent’anni fa la Nato aveva sedici elementi. Oggi sono trenta. «Molti di loro appartenevano al Patto di Varsavia, il che ha ridotto la profondità strategica della Russia. L’adesione dell’Ucraina, l’ultima nazione in ordine di tempo ad avere intrapreso il percorso, sarebbe una minaccia esistenziale», sottolinea Luigi De Biase sul manifesto.
«L’ingresso nella Nato avrebbe dovuto condurre i nuovi soci a una nuova fase sul piano democratico». La Polonia ad esempio, trent’anni di governi atlantisti, militari americani di stanza nel paese, «ma in tema di indipendenza delle istituzioni, di diritti civili e persino i diritti umani i problemi sono cresciuti, e hanno portato a un confronto aspro con Bruxelles». Per non dire dell’Ucraina, al centro del dibattito. La rivolta del 2014 col sostegno di Stati Uniti e dell’Unione europea. «Oggi la rivolta può essere considerata soltanto come un episodio, per quanto cruento, nello scontro di potere fra clan rivali che si combatte nei palazzi di Kiev dalla fine dell’Unione sovietica».
Ignorata dai grandi media internazionali, la battaglia legale che coinvolge un altro ex presidente ucraino, Petro Poroshenko, salito al potere dopo Yanukovich, è sconfitto alle elezioni del 2019 da Volodymyr Zelensky. Contro Poroshenko è aperta un’indagine per tradimento. Lui si trova da mesi all’estero, in fuga non dichiarata. Ora ha fatto sapere che tornerà in patria lunedì, anche se rischia quindici anni di carcere. Vedremo presto. Agli arresti domiciliari già si trova il leader di opposizione Viktor Medvedchuk, segnala sempre De Biase. «Uno stato delle cose molto simile a quello osservato proprio durante il mandato di Yanukovich, quando in prigione era finita Yulia Timoshenko».
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