
In quello che è ormai diventato il pianeta delle incertezze, l’evoluzione delle crisi internazionali è sempre più imprevedibile. Logico, quindi, che di fronte a sfide complicate e mutevoli, le possibili risposte possano essere difficili da elaborare. E soprattutto da condividere. La riflessione cade a pennello per far capire quello che sta succedendo, in questo momento, in Israele.
Paradossalmente, l’emergenza palestinese non rappresenta più il pericolo numero uno. Resta, certo, il problema “storico” dello Stato ebraico. Ma che in un certo senso, si è cronicizzato e, come tale, viene affrontato. Bisogna conviverci e Israele si è adattato, in tutta e per tutto, a questa esigenza. Nel bene e nel male. No, quello che toglie il sonno ai governi israeliani degli ultimi quattro lustri è l’azzardo nucleare iraniano.
Parliamo di azzardo perché, a scomporre e ricomporre tutte le tessere del mosaico, si intuisce subito che ci troviamo di fronte a una vera e propria partita di “risiko”. A Vienna gli ayatollah camminano sulla corda della trattativa, con la perizia di in funambolo. Un passo avanti e uno indietro, lasciano intendere di non essere più intransigenti come qualche settimana fa. Il loro negoziatore, Bagheri Kani, ha fatto capire che anche sulle sanzioni economiche si può trovare un compromesso soddisfacente per tutti. Vogliono guadagnare tempo? Forse. Ma intanto stanno spaccando il fronte degli strateghi avversari.
Secondo gli analisti, dentro il governo di Gerusalemme si sarebbero create tre fazioni, ognuna portatrice di una diversa linea di condotta.
Colpisce, invece, il silenzio del Ministro della Difesa, Benny Gantz, attento a non esporsi troppo e, soprattutto, a non inimicarsi gli americani. Fondamentalmente, l’ostacolo principale sembra proprio questo. Nell’anno delle elezioni di Medio termine, Joe Biden non gradirebbe molto essere coinvolto, direttamente o indirettamente, in un conflitto nel Golfo Persico. È chiaro che, a questo punto, nella complessa architettura diplomatica che si va costruendo intorno alla crisi, entrano in campo, a Gerusalemme, anche (e soprattutto) grandi manovre di politica interna.
Gantz sta cercando di diventare l’ago della bilancia all’interno del governo israeliano, sempre più in allarme per le mosse degli iraniani. Recentemente, ha visto il leader palestinese Abu Mazen, e sta cercando di coprirsi le spalle in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, per dedicarsi soprattutto al controllo del Golan e dell’Alta Galilea. Secondo molti osservatori, aspira a diventare premier. Per questo ha assoluto bisogno di almeno due cose: un imprimatur di Biden e, sembra inutile dirlo, di evitare qualsiasi forma di conflitto con Teheran.