Genova, Augias, la regina Elisabetta, i Palazzi dei Rolli e il Marchese rosso

Chi non ha visto Corrado Augias domenica scorsa su Rai 3, ‘Città segrete’, su Genova, gli consiglio di andarlo a cercare su Rai Play e di goderselo. Da genovese in eterno lutto da lontananza, avrei forse inserito anche altro, ma nulla di quanto raccontato era fuori misura. Per me, ormai lontano dalla Rai quasi quanto da Genova, questo raccontino curioso solo per voi lettori di Remocontro.

Premessa, i Palazzi del Rolli, un sistema di ospitalità pubblica di Stato per Re, principi o lì attorno nato a metà ‘500. Fra Rinascimento e Barocco, i nobili genovesi fanno costruire una serie di palazzi ricchissimi in Strada Nuova, oggi via Garibaldi e verso Balbi, per esibire ricchezza e potenza. Nel 1576, con Decreto del Senato della Repubblica, viene fatto un elenco ufficiale dei palazzi di pregio e si obbligano i loro proprietari ad ospitare, a turno, visite di Stato. A seconda del rango dell’ospite in visita, viene scelto un palazzo per ospitarlo: più elevato è il grado di nobiltà dell’ospite, più fastoso deve essere il palazzo e più ricca la famiglia che ha l’onore e l’onere di accoglierlo.

Quasi 500 anni dopo, 16 ottobre 1980. Genova, la città più inglese d’Italia, riceve la regina d’Inghilterra Elisabetta II. Gli incontri ufficiali d’obbligo, ma lo scopo della visita sta tutto nella incredibile pinacoteca privata della marchesa Carlotta Giustiniani Fasciotti Cattaneo Adorno, che ha invitato la regina per il tè delle cinque. Già dall’elenco dei cognomi dell’ospite, c’è un bel pezzo di nobiltà della potente Repubblica marinara. Manca un erede del grande ammiraglio Andrea Doria, e la storia del ‘secolo dei genovesi’, il ‘500, sarebbe stata completa, visto che Cristoforo Colombo era emigrato in Spagna ad occuparsi d’altro.

La marchesa dei quattro casati, accoglie Elisabetta II regina, casato Windsor, nome inglesizzato nel 1917, dai tedeschi Sassonia-Coburgo-Gotha. Dettagli di quarti nobiliari non inutili, vedrete dopo. È la marchesa ad accompagnare la regina regnante nel suo palazzo Durazzo Pallavicini di via Balbi, nel salotto dei Van Dyck, per il tè. E per alcune ore, ad ammirare assieme quadreria e biblioteca di famiglia che scandiscono secoli di capolavori, ricerche, documentazioni.

Il piano nobile del ‘Rolli’ ospita una delle massime collezioni private di opere d’arte tra il Cinquecento e il Settecento. Di Van Dyck ci sono ‘Gesù morto pianto dalle donne’, la ‘Dama d’ oro’, e molti ritratti di bambini. Di Rubens, ‘Bacco ebbro’ e il ritratto di Filippo IV di Spagna. Del Tiziano, ‘La Maddalena’. Del Guercino, ‘Cristo della Moneta’ e ‘Muzio Scevola’. Del Reni, ‘San Francesco’. E poi, opere dei genovesi, il Grechetto, Strozzi, Fiasella, e ancora opere di Leonardo, ‘La Madonna del velo’ di Raffaello. La marchesa Carlotta Giustiniani Fasciotti Cattaneo Adorno è mancata nel 1989. E qui scatta un’altra storia.

Genova sottovalutata esibisce il suo orgoglio e, qualche giorno prima di quel 16 ottobre 1980, conferenza stampa del sindaco a Palazzo Tursi (altro Rolli), a dare i dettagli sulla parte pubblica della visita della regina. Vanità anche politica, per la verità. Giunta di sinistra dopo tanti anni di DC: sindaco il socialista Fulvio Cerofolini, ex tranviere dell’AMT (una gran bella persona), vicesindaco Giorgio Doria, docente universitario, erede dell’ammiraglio Andrea, noto a tutti come il Marchese Rosso, persona riservata, tanto nobile quanto comunista di base, solo ‘servizio d’ordine’ il suo impegno nelle allora possenti manifestazioni della sinistra.

Giornalisti screanzati, a fine conferenza stampa del sindaco tranviere, sgattaioliamo verso la studio dove è asserragliato il vice sindaco marchese. Giorgio Doria, compagno sì, ma sempre con un certo distacco, ci subisce e conferma che non sarà tra le autorità ad accogliere la regina Elisabetta. Siamo in pochi (non ricordo più chi), e qualcuno cerca di scoprire o provocare qualche retroscena politico. Ricordo bene solo il finale lapidario di Giorgio Doria per cacciarci fuori. «E comunque, ‘troppu sciatu’ (confusione in genovese), per questi parvenue dei Windsor». Grande Doria.

Giorgio Doria, il ‘marchese rosso’, patrizio genovese e conte di Montaldeo erede di grandi ammiragli e di dogi, è rimasto vice sindaco col tranviere Fulvio Cerofolini. Sindaco lo è diventato, solo 35 anni dopo, il figlio Marco Doria, anche lui marchese un po’ rosso, e come il padre, profondamente genovese. Evito l’apologia della famiglia Doria per non farmi nemico un Doria storicamente riservato che prima o poi potrei avrei piacere di incontrare, tanti anni dopo il ‘marchese rosso’ che avevo partecipato a provocare.

Finale possibile di questa ‘memoria confessione’ di mezzo secolo fa? Tra tanti poeti e cantori genovesi noti e citati, primo tra tutti De Andrè, o quelli un po’ ubriachi delle serate alla ‘Lanterna’ da don Andrea Gallo, comunità di San Benedetto, recupero per disperati, ristoro di cibo e illusioni a pugni chiusi per gli avventori, scelgo il non genovese Paolo Conte che, amando da lontano la mia città, aveva descritto in modo assoluto questo bisogno di Genova, e la strana natura di noi, ‘gente forse un po’ selvatica’.

Con quella faccia un po’ così
Quell’espressione un po’ così
Che abbiamo noi prima d’andare a Genova

E ogni volta ci chiediamo
Se quel posto dove andiamo
Non c’inghiotte, e non torniamo più

Eppur parenti siamo in po’
Di quella gente che c’è lì
Che come noi è forse un po’ selvatica ma
La paura che ci fa quel mare scuro
E che si muove anche di notte
Non sta fermo mai

Genova per noi
Che stiamo in fondo alla campagna
E abbiamo il sole in piazza rare volte
E il resto è pioggia che ci bagna
Genova, dicevo, e un’idea come un’altra

Ma quella faccia un po’ così
Quell’espressione un po’ così
Che abbiamo noi

Mentre guardiamo Genova
Ed ogni volta l’annusiamo
E circospetti ci muoviamo
Un po’ randagi ci sentiamo noi

Macaia, scimmia di luce e di follia
Foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia
E intanto, nell’ombra dei loro armadi
Tengono lini, e vecchie lavande

Lasciaci, tornare ai nostri temporali
Genova, ha i giorni tutti uguali

In un’immobile campagna
Con la pioggia che ci bagna
E i gamberoni rossi sono un sogno
E il sole è un lampo giallo al parabrise

Con quella faccia un po’ così
Quell’espressione un po’ così
Che abbiamo noi
Che abbiamo visto Genova

Tags: Genova
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