Ancora Ðjokovic dal tennis a campione no vax

Massimo Nava da inviato del Corriere in Serbia negli anni più difficili, ha raccontato il Paese, difeso la sua gente, criticato spesso la sua politica nella fase del ‘miloscevismo’ più duro, tra Kosovo e repressione delle opposizioni interne. E sulla questione del grande tennista ‘no vax col trucco’, e su certo vittimismo politico ritenuto ‘antico vizio’, ricorre alla storia e non fa sconti. Prima sul Corriere e qui di rimbalzo.
Nel frattempo, per contrapposte faziosità, mentre nella notte ci sarà l’udienza sul ricorso di Djokovic, il governo australiano di prepotenza: «L’Australia, in quanto paese sovrano, mantiene la massima discrezionalità su chi lascia entrare nel suo Paese», si legge nel documento inviato al Tribunale

Papà Djokovic arringa la folla nella protesta di Belgrado

Serbia spesso vittima ingiusta e il vittimismo patriottico

Il numero uno del tennis mondiale diventato campione dei no vax ha confuso il ruolo di gloria nazionale della Serbia con un malinteso e pericoloso patriottismo, che, in fin dei conti, getta discredito (o ridicolo) sul suo Paese e su lui stesso

Memento Arkan

La scintilla della guerra nella ex Jugoslavia scoppiò in uno stadio, una domenica di maggio del 1990, quando gli ultras di Arkan, (Zeliko Raznatovic, poi diventato il capo delle famigerate «tigri», responsabili di massacri in Bosnia) innescarono violenti scontri con la tifoseria croata della Dinamo di Zagabria. Sono passati più di trent’anni, ma la memoria si rinfresca davanti a ciò che sta accadendo in questi giorni a Belgrado : il popolo serbo in piazza per Novak Djokovic, il presidente Vucic che solidarizza con il campione e chiede conto al governo australiano, il padre che lo paragona a Gesù nel giorno del Natale ortodosso e la chiesa ortodossa che prega per lui.

Il vittimismo nazionale

Sono passati trent’anni, ma la storia nei Balcani andrebbe maneggiata con cura. Dal Kosovo alla Bosnia la pace è ancora fragile. Gli odii non sono sopiti. Soprattutto, con il caso Djokovic, riemerge il vittimismo dei serbi, straordinariamente capaci di passare dalla parte del torto davanti agli occhi del mondo, e di far dimenticare i terribili torti subiti nel corso dei secoli fino all’ immorale bombardamento della Nato.

Malinteso pericoloso patriottismo

Il numero uno del tennis mondiale – beninteso – è lontano anni luce da Arkan, non solo perché vive carico di onori a Montecarlo ed è testimonial Unicef. Ma, evidentemente, ha confuso il ruolo di gloria nazionale con un malinteso e pericoloso patriottismo, che, in fin dei conti, getta discredito (o ridicolo) sul suo Paese e su lui stesso.

L’eroe umiliato e offeso

Meglio avrebbe fatto, come tanti campioni, a farsi testimonial del vaccino o almeno ad accorgersi di quanto la vicenda sia strumentalizzata: dalle autorità serbe che non perdono occasione di soffiare sul fuoco per recuperare consenso e dalle autorità australiane che hanno qualcosa da farsi perdonare nella gestione della pandemia. Intanto i suoi concittadini ripetono la litania della congiura mondiale. Del resto, un popolo che da secoli si autocelebra nel sacrificio e nella sconfitta (la battaglia di Kosovo Polje nel 1389) non vede più il campione, ma l’eroe umiliato e offeso.

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AVEVAMO DETTO

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