
Oggi assistiamo ad una conflittualità diffusa ( si può agevolmente, purtroppo, individuare un ‘continuum’ di conflittualità, con varie declinazioni più o meno militari, dall’ Africa Occidentale, con il Sahel ormai diventato ‘ Nuovo epicentro del Global Jihad’, all’ Ucraina al Mozambico all’ Asia Centrale all’ area dell’ Indo- Pacifico) ma soprattutto ‘endemica’ con il triste fenomeno degli ‘Endless Conflicts’ (sono ormai più di una decina i ‘conflitti infiniti’ che, seppure con alcune apparenti fasi di ‘stasi’ o di tregue precarie, durano da più di dieci anni, fra questi: Israele- Palestina, Iraq, Afghanistan, Siria, Libia, Somalia, Nigeria. I conflitti, in altri termini, iniziano ma non terminano mai e tendono a protrarsi all’ infinito rendendo vani, e a volte patetici, i vari Vertici di Pace più o meno iper celebrati salvo poi essere pressoché disattesi e dimenticati dopo alcuni giorni.
Un dato cattura da solo la gravità del fenomeno del trend conflittuale: il numero medio dei conflitti censiti nell’ ultimo decennio è superiore di più del 100 % a quello medio registrato nel XX secolo e la maggior parte di essi non vede protagonisti gli Stati, ma i cosiddetti Non-State-Actors. Ciò rende l’ intero quadro di conflittualità contemporaneo ancora più grave, complesso ed ingestibile.
Esiste poi il gravissimo fenomeno dei profughi e displaced che ha superato la cifra record di 90 milioni nel mondo e di cui solo una minima parte arriva, in condizioni assolutamente critiche, nel Mediterraneo.
Anche il fenomeno del Jihadismo appare in preoccupante espansione geografica e militare: il 2021 ha fatto registrare oltre 2200 attacchi Jihadisti con oltre 11.000 morti con un leggero aumento rispetto al 2020. Inoltre il “far-right political terrorism”, l’estremismo di estrema destra, avrebbe fatto registrare una espansione stimata del 250 % dal 2014.
Ma al di là dell’ analisi di indicatori numerici o geopolitici, la riflessione sulla pace va oggi estesa soprattutto a livello culturale ed epistemologico: la Comunità Internazionale a tutt’ oggi non è stata ancora in grado di esprimere una credibile ‘epistemologia della pace e dei conflitti’. Le conferme di tale grave carenza le possiamo trovare, oltre che nel quadro già sopra delineato, in questi anni nell’ incapacità di esprimere efficaci politiche e strategie di Post- Conflict e State Building ( es. Libia, Afghanistan, Somalia, Siria). L’ esigenza di dover ricorrere alle cosiddette ‘Exit Strategies’, da far digerire soprattutto alle opinioni pubbliche, risulta poi essere la conferma più ‘imbarazzante’ di tale carenza.
Anche alcuni filoni politico-strategici, a ben meditare, rafforzano la consapevolezza circa la carenza di una credibile epistemologia della pace: Hybrid Warfare, Information Warfare, Guerra Preventiva, Below The Threshold Warfare (Guerra Sotto la Soglia).
La carenza, che è quindi innanzitutto riferibile al mondo della cultura e della politica internazionale, di costruire una valida ‘epistemologia della pace’ rende ancor più apprezzabili i notevoli sforzi di ‘riadattamento’ delle varie componenti militari verso le cosiddette Operazioni di Pace cui hanno contribuito con notevoli sacrifici e professionalità.
Non va infine sottaciuto che l’ Umanità in tale materia per molti secoli ha, sotto il profilo epistemologico, giuridico e dottrinale, di fatto ‘vissuto di rendita’ sul pensiero di ‘guerra giusta’ di Sant’Agostino e San Tommaso, che però appare oggi rimesso in discussione dallo stesso Nuovo Catechismo che, nel capitolo dedicato alla guerra, fa riferimento solo al concetto di ‘legittima difesa’ e quindi non più di ‘guerra giusta’.
Vanno peraltro citati significativi seppure limitati sviluppi sul piano della ricerca, fra questi il concetto di ‘Positive Peace’ che va ben al di là della semplice ‘assenza di guerra’ per investire tutte le componenti ( economiche, socio-ambientali etc) idonee a costruire una vera pace. Esso quindi va ben oltre il semplice ‘pacifismo’, rispettabile ma forse troppo appiattito solo sul concetto di non-violenza e su una incrostazione antimilitarista oggi ancor meno comprensibile.
Fra i principali teorici contemporanei della pace e sostenitori della ‘Positive Peace’ va citato il norvegese Johan Galtung che non a caso nel su “The Next Twenty-five Years of Peace Research” del 1985 esprime l’ urgenza di disporre di una “general peace theory”: “We are also badly in need of a general peace theory …Abbiamo maledettamente bisogno di una teoria generale della pace”.