
L’architettura della crisi planetaria ha fatto perno sul Covid-19, per scoperchiare un pentolone, dove ribollivano le altre contraddizioni. Qualsiasi analisi “grandangolare”, deve quindi partire dallo stato attuale della pandemia.
«Creo que nos enfrentamos a un tsunami de infecciones, en el mundo, tanto de ‘delta’, cuanto de ‘omicron’». Così titola il quotidiano spagnolo “El Paìs” nella sua intervista a Maria Van Kherkove, del dipartimento “Malattie emergenti” dell’OMS a Ginevra. La sintesi della scienziata americana è molto chiara: è inutile inseguire il virus, aspettando che gli ospedali comincino a riempirsi prima di dichiarare l’emergenza. Bisogna agire di corsa, molto prima, anticipando il dilagare del contagio e tenendo conto che il vero picco comincerà dopo Natale. L’Anno nuovo che ci aspetta.
L’ultimo bollettino parla di oltre 273 milioni di casi e di circa 5 milioni e mezzo di morti, nel mondo. E un’analisi comparativa tra i dati offerti per l’Europa e quelli raccolti per l’Africa mostra una sproporzione abissale, che fa pensare come proprio il Continente nero, nei poverissimi “slums” delle megalopoli africane, cresciute disordinatamente e senza infrastrutture di servizio, potrebbero covare focolai infettivi giganteschi. Tutto ciò mentre Omicron già dilaga in America e in Europa.
La pandemia ha avuto effetti collaterali devastanti sulla nostra quotidianità. Ha cambiato stili di vita, mentalità e aspettative. Già, aspettative: una componente fondamentale dell’economia contemporanea. I diversi settori produttivi, distributivi, la finanza, i programmi d’investimento di lungo periodo hanno sofferto il consolidarsi di una congiuntura sempre più negativa. Il crollo dei Pil e le recessioni a catena, seguiti da “rimbalzi” nella crescita hanno rispecchiato l’andamento altalenante del contagio.
Lo Stato tornato regista dell’economia dappertutto, ognuno a modo suo, col distinguo fondamentale del ‘quanto’ (il livello delle risorse “a debito” da impiegare). E, non meno importante, per il ‘fino a quando’. Una domanda basilare per qualsiasi sistema-Paese: non rischiamo di trasformare l’eccezionalità nella normalità? La nostra idea è che si stia cantando troppo presto vittoria, a tutte le latitudini, per una “ripresa” che ancora zoppica vistosamente. Anzi, arranca.
L’aumento dei Pil, che in tempi normali sarebbe da boom “cinese”, attualmente è drogato dalle cadute verticali subite nel 2020. E la “ripresina” si sta tirando appresso un’inflazione che non si vedeva da quarant’anni.
Gli Stati Uniti sono già quasi al 6,5% e, di questo passo, Joe Biden finirà per giocarsi le elezioni di Medio termine. Anche in Germania le campane suonano a morto. Traumatizzati dall’inflazione di Weimar (1 kg di pane costava 400 miliardi di marchi), i tedeschi ora devono fare i conti con un’inflazione al 6,3% e con un Pil asfittico, che quest’anno crescerà di un “misero” 2,7%.
“Blablabla” doveva essere, per dirlo alla Thurnberg, e “blablabla” è stato. Con una fiumana di ponderosi “committment” (impegni), seguiti da un rivolo finale con nessuna “obligation” seria. E così, almeno fino a quando si è parlato di ambiente e di catastrofe climatica planetaria, i protagonisti del recente G20 e della COP26 di Glasgow se la sono cavata solo con una raffica di belle parole.
La radiografia al comportamento dei Paesi del G20. Che promettono assai e stringono poco, ma vengono poi smascherati dai numeri, di fronte ai quali non si può bluffare. Il monitoraggio della “Climate Trasparency” è stato esibito alla “COP26” promossa dall’ONU. Un’altra comparsata dove si è annacquata la decisione di arrivare “a emissioni zero” di CO2 entro il 2050. Si è parlato solo di raggiungere quest’obiettivo, “all’incirca verso la metà del secolo”.
Cina e India, però, non ci stanno. Accusano gli occidentali di avere costruito il loro sviluppo facendo della Terra una camera a gas. «Mentre ora pretendono di dettare a tutti il galateo del comportamento ambientale». Non hanno tutti i torti (e non mantengono le promesse molti di noi ‘buono occidentali). Resta il fatto che il pianeta si sta trasformando i molti suoi elementi fondamentali di vita che prima o poi, in maniera sempre più rapidamente crescente, ci sconvolgono. Virus compresi.
Sino alla riga sopra, Piero Orteca. Le due righe conclusive, la più difficili, a Remocontro, collettivo di giornalisti e non solo, che amano scoprire il mondo e raccontarlo, anche nei suoi angoli più bui. Poco scaramantici? Forse. Ma molto seri e sinceri. Sempre per remare contro le facili convenienze e coltivare caparbiamente la virtù del dubbio.Buon anno amici di Remocontro (er)