
Dall’antica ‘galea’, nave, è derivata l’attuale ‘galera’, carcere, perché è noto che i rematori nella stragrande maggioranza dei casi erano condannati o prigionieri di guerra catturati, di solito turchi. La galea da guerra era un’imbarcazione potentemente armata e abbastanza veloce che garantiva il dominio marittimo soprattutto delle due più ricche repubbliche marinare italiane, Genova e Venezia. Mantenere però una flotta di galee era costoso e spesso mancavano i rematori, dato che era difficile trovare volontari che -sia pure retribuiti- accettassero le pessime condizioni a bordo. E poiché a volte non bastavano i detenuti nelle proprie carceri, e per quanti sforzi facessero i tribunali per tenerne un certo numero a disposizione, la soluzione fu quella di ‘affittarli’ o acquistarli altrove. Genova e Venezia conclusero allora accordi con gli stati confinanti, ma non bastavano nemmeno quelli e la ricerca di braccia ‘da remo’ si estese al di là delle Alpi.
Nella seconda metà del XVI secolo furono numerose città bavaresi a fornire a Venezia gli uomini da imbarcare, anche perché tra le pene previste fu introdotta appunto quella ‘del remo’, che prima non era contemplata negli ordinamenti germanici. I condannati erano quindi deportati, consentendo alle casse pubbliche il risparmio del loro pur gramo mantenimento, se non addirittura qualche piccolo ricavo. Ai tempi della guerra di Morea (1695), Venezia aumentò la domanda di braccia e l’Elettore di Baviera Massimiliano II, estese così la pena del remo a vagabondi, girovaghi e bracconieri. Da Monaco, Ingolstadt, Augsburg e Landshut partirono numerose volte diversi convogli di condannati che furono dapprima concentrati a Innsbruck. Poi a piedi raggiungevano il valico del Brennero, scendevano a Bolzano e a Trento e da qui, lungo la Valsugana, sino a Primolano, dove sorgeva il lazzaretto della Serenissima per l’obbligatoria quarantena. Nel frattempo il bargello tedesco concludeva gli accordi commerciali con le autorità veneziane e allo scadere della quarantena i deportati proseguivano per Treviso e infine Venezia.
Mediamente il costo di questi viaggi era carico dell’acquirente e le autorità veneziane redigevano rendiconti accurati: ad esempio un convoglio di una trentina di forzati provenienti dalla Germania costò all’amministrazione della Serenissima una somma di un certo rilievo, tanto più che nel corso del soggiorno al lazzaretto tre erano morti (di stenti, non di malattia). Al bargello tedesco erano normalmente corrisposti quindi 35 ducati per condannato e talvolta 100 se si trattava di un condannato a vita, al remo per quanto riusciva a campare. Sempre accorti nelle spese i veneziani preferivano tuttavia condannati provenienti dai ducati di Modena, Mantova e Parma che da altri lazzaretti veneziani (di solito Verona) sarebbero giunti più rapidamente sulle rive dell’Adriatico. Altre volte erano invece degli intermediari a proporre alla Serenissima condannati di altre provenienze: nel 1696 un bergamasco offrì condannati del ducato di Savoia a 90 ducati, ma il prezzo fu ritenuto eccessivo.
Non solo il condannato doveva scontare ‘al remo’ la condanna per la durata imposta dalla sentenza, ma spesso – per ripagare le casse dei suoi costi di mantenimento – prima della liberazione doveva effettuare un periodo suppletivo per pagare il debito contratto. Poiché la fuga sarebbe stata punita, non restava allora che continuare o attendere una grazia improbabile. Facilmente intuibile che alla liberazione arrivassero in pochi, ma soprattutto che per le dure condizioni molti diventassero inabili o addirittura morissero. Vi fu però un forzato che dopo 31 anni poté riacquistare la piena libertà, caso più unico che raro. A mitigare gradatamente questo duro regime intervenne in qualche vicenda il tribunale della Quarantia: proprio ogni Natale, dopo attenti esami dei registri contabili, giungevano infatti dei dispacci di liberazione all’amministrazione delle galee.