
Gorbaciov che oggi si limita all’accusa di arroganza dei confroti degli Usa, Putin che, coerente al suo ruolo, definisce l’evento, per le sue conseguenza storiche e politiche planetarie, «una delle maggiori catastrofi geopolitiche del XX secolo». Lo sottolinea Dragosei sul Corriere della sera, con qualche rigidità sulla interpretazione dell’oggi ereditato. «Quando scrive che russi, ucraini e bielorussi sono praticamente uno stesso popolo e che non ha senso che siano separati». La storia lo dice e la geopolitica lo contraddice, ma a seconda della tifoseria in campo. Torniamo alla storia di quel ’25 dicembre non Natale’.
Erano passati poco più di sei anni dall’arrivo del giovane e sorprendente Gorbaciv al Cremlino, a seppellire l’epoca della gerontocrazia finale. «Tre Gensek (Brezhnev, Andropov, Chernenko) morti nel giro di 28 mesi». Lui, appena cinquantaquattrenne, avrebbe dovuto rimettere in piedi il pachiderma malato. «Ma le sue riforme, con la Perestrojka (ristrutturazione) e la Glasnost (trasparenza) finirono invece per dar fiato alla voglia di libertà di tutti i popoli sottomessi agli Zar e poi ai Segretari Generali, avviando un processo inarrestabile».
Prima se ne andarono gli Stati satelliti, con la caduta del muro di Berlino nel novembre del 1989, e i Paesi baltici che non aspettavano altro, rispetto alla dura realtà di una economia al collasso e di una ideologia decisamente mal gestita. E quel dicembre di trent’anni fa, fu la fine del tentativo di «un’Urss dal volto umano» (Dradosei), ma anche la cancellazione di colpo del forse il principale protagonista della lotta vincente contro il nazifascismo. E di ciò oggi il mondo occidentale ancora paga pegno.
Finiva un’epoca e iniziava un periodo di enormi privazioni per milioni di persone che non avevano più alcun punto di riferimento. Vladimir Putin –storia da recenti interviste- tornato a Leningrado dopo aver vissuto il crollo della Germania comunista a Dresda dove era capo della locale stazione del Kgb. «Ai suoi biografi ha confessato che provò a chiamare in patria per avere istruzioni, Ma Mosca non rispondeva». E Putin, verità o agiografia, nella città sul Baltico si sarebbe industriato persino come tassista. La fine dell’Urss vissuta come una immane catastrofe, con milioni di suoi concittadini.
Due luoghi di ieri e riproporre combattuta attualità. In Bielorussia viene firmato il documento che sancisce la fine dell’Urss. In Ucraina, il 1°dicembre, referendum sull’indipendenza dall’Urss e i sì vinsero con il 90 per cento. Bielorussia e Ucraina che rifiutano l’Unione di repubbliche sovrane che Gorbaciov stava tentando di mettere assieme. «Così nella foresta Belovezhskaya in Bielorussia l’8 dicembre si ritrovarono i capi delle tre repubbliche, Boris Eltsin per la Russia, Stanislav Shushkevich per la Bielorussia e Leonid Kravchuk per l’Ucraina».
Per Gorbaciov fu la coltellata finale. Dal marzo del 1990 presidente dell’Unione Sovietica, ora si trovava a capo una ‘scatola vuota’: formalmente sotto di lui rimanevano Armenia, Kazakistan, Tajikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirgizistan, Georgia, Moldavia e Azerbajgian. Ormai una micro Unione e ormai molto poco sovietica. Il 21 fu la volta delle altre repubbliche (otto su nove, con l’esclusione della Georgia) a firmare la morte dell’Urss e l’adesione alla nuova Comunità di Stati Indipendenti creata dai tre Grandi nella foresta bielorussa.