Trent’anni fa la fine dell’URSS. Gorbaciov: «Dopo il crollo Usa arroganti»
Trent’anni fa la fine dell’URSS. Gorbaciov: «Dopo il crollo, Usa arroganti»

Il 25 dicembre 1991, non ancora Natale per la cristianità russa legata al calendario giuliano della Chiesa ortodossa di Bisanzio. Per l’atea Unione sovietica, un giorno qualsiasi, ma forse non scelto a caso, con le dimissioni dell’ultimo leader sovietico che posero fine alla Federazione socialista sovietica, e formalmente alla guerra fredda. Guerra ora praticata in forme aggiornate sempre tra Washington e Mosca. Quel 25 dicembre formato laico, a confermare che «Non si capisce ciò che è accaduto senza considerare il ruolo di Giovanni Paolo II», come scrive Giacomo Galeazzi su La Stampa.
Anche se oggi l’ormai anziano ma lucido Gorbaciov, non rimpiange le sue scelte, ma accusa gli Stati Uniti di aver imposto al mondo, ormai privi di un avversario alla loro altezza politica e militare, «la loro arroganza di unica potenza planetaria».

L’anniversario della fine dell’URSS

30 anni fa il crollo dell’Unione Sovietica: le dimissioni in tv di Gorbaciov e la bandiera rossa ammainata sul Cremlino

Gorbaciov che oggi si limita all’accusa di arroganza dei confroti degli Usa, Putin che, coerente al suo ruolo, definisce l’evento, per le sue conseguenza storiche e politiche planetarie, «una delle maggiori catastrofi geopolitiche del XX secolo». Lo sottolinea Dragosei sul Corriere della sera, con qualche rigidità sulla interpretazione dell’oggi ereditato. «Quando scrive che russi, ucraini e bielorussi sono praticamente uno stesso popolo e che non ha senso che siano separati». La storia lo dice e la geopolitica lo contraddice, ma a seconda della tifoseria in campo. Torniamo alla storia di quel ’25 dicembre non Natale’.

25 dicembre 1991, l’ombra di Papa Wojtyla

«Non si capisce ciò che è accaduto in Europa alla fine del Novecento senza considerare il ruolo di Giovanni Paolo II», disse l’ultimo leader sovietico mentre terminava la guerra fredda.

Michael Gorbaciov e Boris Eltsin

Erano passati poco più di sei anni dall’arrivo del giovane e sorprendente Gorbaciv al Cremlino, a seppellire l’epoca della gerontocrazia finale. «Tre Gensek (Brezhnev, Andropov, Chernenko) morti nel giro di 28 mesi». Lui, appena cinquantaquattrenne, avrebbe dovuto rimettere in piedi il pachiderma malato. «Ma le sue riforme, con la Perestrojka (ristrutturazione) e la Glasnost (trasparenza) finirono invece per dar fiato alla voglia di libertà di tutti i popoli sottomessi agli Zar e poi ai Segretari Generali, avviando un processo inarrestabile».

La digregazione aiutata

Prima se ne andarono gli Stati satelliti, con la caduta del muro di Berlino nel novembre del 1989, e i Paesi baltici che non aspettavano altro, rispetto alla dura realtà di una economia al collasso e di una ideologia decisamente mal gestita. E quel dicembre di trent’anni fa, fu la fine del tentativo di «un’Urss dal volto umano» (Dradosei), ma anche la cancellazione di colpo del forse il principale protagonista della lotta vincente contro il nazifascismo. E di ciò oggi il mondo occidentale ancora paga pegno.

La svolta senza sconti

Finiva un’epoca e iniziava un periodo di enormi privazioni per milioni di persone che non avevano più alcun punto di riferimento. Vladimir Putin –storia da recenti interviste- tornato a Leningrado dopo aver vissuto il crollo della Germania comunista a Dresda dove era capo della locale stazione del Kgb. «Ai suoi biografi ha confessato che provò a chiamare in patria per avere istruzioni, Ma Mosca non rispondeva». E Putin, verità o agiografia, nella città sul Baltico si sarebbe industriato persino come tassista. La fine dell’Urss vissuta come una immane catastrofe, con milioni di suoi concittadini.

In Bielorussia la fine dell’URSS

Due luoghi di ieri e riproporre combattuta attualità. In Bielorussia viene firmato il documento che sancisce la fine dell’Urss. In Ucraina, il 1°dicembre, referendum sull’indipendenza dall’Urss e i sì vinsero con il 90 per cento. Bielorussia e Ucraina che rifiutano l’Unione di repubbliche sovrane che Gorbaciov stava tentando di mettere assieme. «Così nella foresta Belovezhskaya in Bielorussia l’8 dicembre si ritrovarono i capi delle tre repubbliche, Boris Eltsin per la Russia, Stanislav Shushkevich per la Bielorussia e Leonid Kravchuk per l’Ucraina».

«L’Urss come realtà geopolitica e soggetto del diritto internazionale, cessa di esistere».

Per Gorbaciov fu la coltellata finale. Dal marzo del 1990 presidente dell’Unione Sovietica, ora si trovava a capo una ‘scatola vuota’: formalmente sotto di lui rimanevano Armenia, Kazakistan, Tajikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirgizistan, Georgia, Moldavia e Azerbajgian. Ormai una micro Unione e ormai molto poco sovietica. Il 21 fu la volta delle altre repubbliche (otto su nove, con l’esclusione della Georgia) a firmare la morte dell’Urss e l’adesione alla nuova Comunità di Stati Indipendenti creata dai tre Grandi nella foresta bielorussa.

Il Non Natale sulla piazza Rossa

Non c’era più niente da fare. Il 25 arrivarono le dimissioni di Gorby in diretta tv. Il 29 il presidente dell’Urss lasciò il Cremlino e le chiavi passarono al leader della Russia Eltsin. Ma gli squilibri anche internazionali di quei giorni lamentati oggi da Gorbaciov e nei giorni scorsi da Putin nel discorso alla nazione Russia, ancora pesano sulla distensione e sul futuro del mondo.

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