
Prima l’elenco delle più note malefatte divenute pubbliche. L’ultima, quei bicchieri con vino e formaggio nel giardino di Downing Street, in buona compagnia, quando il resto del paese era costretto alla solitudine e alla rinuncia. Peggio, altre immagini, quando tutto lo staff festeggia ‘grossolanamente amalgamato’. Recentissime le dimissioni del ministro della Brexit, Lord Frost, ‘pilastro del johnsonismo antieuropeo’. Mentre vola via oltre un terzo dei voti in un seggio sicuro per i conservatori da due secoli, che elegge una semi-sconosciuta liberaldemocratica. «brutta fine il mito dell’invincibilità per l’uomo che ha oltre ottanta voti di maggioranza putativi ai Comuni».
Impietoso Ferrara coi in vicini britannici, più gli inglesi che scozzesi e gallesi. «Gli elettori inglesi volevano un circo, e l’hanno avuto. Hanno optato per un uomo che aveva scritto due articoli, uno pro e uno contro la Brexit, e all’ultimo momento aveva scelto uno dei due ai bussolotti. Johnson è un cinico allegro, del tutto indifferente al bene e al male come concetti statici o princìpi. Ma non sono novità, queste, e sono compatibili con grandi missioni, roboanti performance oratorie, salti nella luce abbagliante della grande storia».
Il modello di Boris, Winston Churchill. Ferrara racconta la storia quasi a fumetti, dove dietro la sregolatezza del premier nei suoi rapporti internazionali, tra whiskey e sigari, c’era anche il genio politico del leader. «Il circo di Churchill produsse buoni effetti sul morale e sull’innato coraggio dei sudditi di Sua Maestà, aiutando il mondo a liberarsi di Adolf Hitler. Ma sempre un efficientissimo circo, un bestiario colmo delle più straordinarie bizzarrie, era». Spingendo alleati spesso riottosi ma affascinati a tirare fuori soldi e armamenti.
«Ci sono ragioni per pensare che stavolta Boris non ce la farà, ma la sua stravaganza elegante e ilare, la sua nota e ammirata strafottenza, non sembra passibile di essere inclusa tra queste ragioni».