
Della peste di Atene descritta da Tucidide (V secolo a.C.) e della ‘peste antonina’ nell’impero romano (165-180 d.C.) si è parlato già molto. Sembra che allora – a parte cautele personali – non siano state imposte misure sanitarie collettive ad evitare la circolazione della malattia. Salvo la comparsa di innumerevoli maghi o ciarlatani ai quali si affidava la popolazione che non nutriva più fiducia nei medici impotenti. Le ‘cure alternative’ le chiameremmo oggi. Luciano di Samosata ricorda con sarcasmo di un verso magico scritto da uno di costoro inciso sulle porte di molte case a protezione degli abitanti, che alla fine indicava dove si erano estinte famiglie intere.
I commerci, secondo un antico luogo comune, hanno sempre favorito le epidemie, anche se lo scambio delle merci in se non ne è diretto responsabile, quanto la fitta rete di contatti umani. Non è casuale che le prime ‘quarantene’ siano state istituite in città marinare. Furono infatti prima Venezia e poi Pisa nella seconda metà del XIV secolo ad istituire un periodo obbligo di «segregazione e osservazione» della durata di quaranta giorni, e la pratica si diffuse anche fuori d’Italia come ad esempio a Ragusa (oggi Duvrovnik). Un compromesso tra la necessità dei commerci e la salute pubblica. Non esisteva una vera e propria teoria medica del contagio, ma dalle osservazioni delle autorità sanitarie che si erano rese conto che un soggetto malato poteva sembrare sano ed era necessario attendere per capire.
Sorsero così luoghi isolati al di fuori delle città o furono occupate piccole isole (Nisida, nel golfo di Napoli, San Bartolomeo sul Tevere) dove furono insediati i cosiddetti ‘lazzaretti’, controllati dalle autorità sanitarie, vigilati da fuori con attenzione e gestiti all’interno nella maggioranza dei casi da ordini religiosi. Alla fine del Quattrocento a Milano ne sorse uno progettato per la prima volta tenendo conto dei principi sanitari dell’epoca e anche delle esigenze dei pazienti: divenne famoso durante la peste del 1630 narrata nei ‘Promessi sposi’ da Alessandro Manzoni. Altri sorsero anche fuori della Lombardia e ne resta traccia oggi in molte parti d’Italia.
Più interessante la storia dei ‘cordoni sanitari’ che erano definiti di volta in volta a seconda dell’espandersi di un’epidemia. Di solito erano affidati alla sorveglianza dei militari, ma in un caso particolare riuscirono a trasformare una parte d’Europa. Ai confini tra impero asburgico ed impero ottomano, dagli inizi del Settecento in poi, si temeva il passaggio di soggetti infetti, viste le precarie condizioni sanitarie dell’impero ottomano dove imperversavano spesso epidemie, ma gradatamente si sviluppò anche un sistema militare e doganale la cui sicurezza era affidata agli stessi abitanti del luogo. E turchi non avevano nemmeno lazzaretti…
Con il passare del tempo però la protezione sanitaria e la quarantena cominciarono ad essere contestate e anche a rappresentare l’inclusione o l’esclusione da una comunità, e i luoghi destinati alle quarantene, spesso se in zone di frontiera, cambiarono natura. Lazzaretto e misure restrittive avevano rappresentato fino ad un certo momento l’immagine di uno stato che aveva trovato una soluzione per far continuare le normali condizioni anche nel disordine di un’epidemia. Assieme cominciava a manifestarsi un’apprensione nei confronti di tutto ciò che proveniva dall’esterno e non solo delle malattie.
Un simbolo delle paure delle società avanzate divenne alla fine del XIX secolo Ellis Island, l’isola della quarantena nella baia di New York nella quale transitarono ‘per accertamenti’ più di dieci milioni di migranti –tantissimo italiani- nella più grande democrazia del mondo. Su uno scoglio lì vicino, la Statua della Libertà.