
«L’ideologia nazista della terra, che potremmo chiamare “econazismo”, fu il frutto avvelenato della convergenza di molti elementi ben radicati nella cultura tedesca del primo Novecento: misticismo, esoterismo, teoria della razza e nazionalismo», commenta il professor Emanuele Conte, ordinario di Storia del diritto all’Università RomaTre. «Il loro ecologismo era fortemente reazionario: considerava la purezza del sangue come una condizione indispensabile per la realizzazione di un vero equilibrio fra la terra e le comunità umane, e perciò aderiva con entusiasmo alle dottrine antisemite».
Dagli Stati Uniti all’Europa si stanno diffondendo correnti di pensiero reazionario che sono passate dal negazionismo climatico, all’interpretazione strumentale dei suoi effetti, per rafforzare contenuti ideologici e spesso razzisti, segnala Francesca Santolini.
Il procuratore generale repubblicano dell’Arizona ha chiesto di fermare i migranti in arrivo dal Messico, sostenendo che si tratta di persone che «emettono sostanze inquinanti, come l’anidride carbonica e altri gas serra nell’atmosfera». Una narrazione nata nei movimenti di estrema destra negli Stati Uniti e che ora sta contaminando il discorso politico e la propaganda di molti partiti di destra anche in Europa.
E il populismo ambientale mette insieme la preoccupazione dell’opinione pubblica per la crisi climatica, il disprezzo per le élite al potere, un approccio paternalistico e antiscientifico ai temi della natura e soprattutto gli appelli per lasciare gli immigrati oltre i confini.
Secondo le Nazioni Unite, entro il 2050 il numero di persone sfollate a causa di disastri naturali aumenterà in tutto il mondo, fino a 1,2 miliardi. La maggior parte si sposterà all’interno dei propri Paesi, ma milioni di persone cercheranno rifugio oltre confine. Questi spostamenti forzati di popolazioni, avverte il Pentagono, causeranno conflitti interni ed esterni, seminando guerre e violenze.
Uno studio dell’Università di York ha definito “ecobordering” la tendenza dei partiti di estrema destra a incolpare del degrado ambientale i Paesi in via di sviluppo, per rafforzare le restrizioni all’immigrazione. «Eppure, per la scienza non ci sono dubbi, i principali responsabili dell’attuale crisi climatica sono i Paesi sviluppati: dal 1990 al 2015, l’1% più ricco della popolazione mondiale ha emesso il doppio di CO2 rispetto alla metà più povera del pianeta, con gli Stati Uniti in testa per emissioni pro capite».
«L’entità della sofferenza causata dal riscaldamento globale e le risposte sempre più urgenti per affrontarlo, rischiano di determinare risposte reazionarie, con la destre che cercheranno di etichettare come ingerenze delle élite qualsiasi misura imposta dai governi in chiave di tutela ambientale globale».
L’interazione delle politiche di destra con i temi climatici sta alimentando i timori popolari che le prerogative dei cittadini siano attaccate da élite collegate all’alta finanza, al capitale mondiale, a consorterie occulte. «Questo contraccolpo è visibile nei movimenti di protesta come quello dei gilets jaunes (gilet gialli) in Francia, nato per l’opposizione alla tassa sul carbonio applicata al carburante».
Sono temi di cui dovrà tenere conto chi – contrastando il populismo ambientale delle destre – voglia progettare strategie climatiche efficaci, eque e politicamente sostenibili.