
L’impressione è che Macron, un po’ come il semaforo di Prodi nell’imitazione di Guzzanti, o come un commerciante esperto che sceglie il suo banco al mercato, si sia posizionato esattamente al centro della bagarre senza farsi coinvolgere. Lodevole interpretazione del ruolo istituzionale, verrebbe da dire, ma non si tratta soltanto di questo, al contrario. Rispetto a cinque anni fa, Macron ha perso tutto lo slancio, artificiosamente utile, del parvenu. O meglio, ha perso l’aura del portatore del cambiamento e si è scoperto non più giovane e rampante come in molti avevano creduto, consegnandogli il paese.
In quella gigantesca operazione mediatica che lo aveva portato alla presidenza, il giovane ex-ministro dell’economia aveva attaccato frontalmente i corpi intermedi, partiti tradizionali e sindacati, riuscendo, anche se solo momentaneamente, a metterli ai margini. Era il mondo nuovo, con un pizzico di richiamo alla grandeur francese, che aveva travolto tutto e tutti. Finito l’effetto novità, quella stessa dinamica potrebbe travolgere domani Macron, incapace di costruire una classe dirigente all’altezza e costretto a pescarla tra i transfughi, per loro natura portati all’abbandono della nave.
C’è stata la pandemia, è vero, che, paradossalmente, in piena emergenza, gli ha restituito una statura politica, conosciuta solo ai tempi dei grandi drammi nazionali, nonostante le contestazioni abilmente scaricate sul primo ministro. Al tempo stesso, e sempre grazie al covid, l’inquilino dell’Eliseo ha potuto recitare un ruolo di estrema rilevanza in Europa, dando alla presidenza francese una prospettiva internazionale (più o meno reale) come nella tradizionale prassi del sistema francese, lasciando (almeno in apparenza) le questioni interne all’esecutivo.
Senza corpi intermedi, però, il dissenso si è riversato in modo disordinato in movimenti eterogenei e incapaci, fino a ora, di esprimere un’offerta politica. Ecco perché un paese da sempre vittima del suo nazionalismo, spesso declinato in uno sciovinismo antistorico e stucchevole se visto dall’estero, ha partorito Eric Zemmour. Se, insomma, il futuro fa paura, meglio tornare a un improbabile passato laccato in oro, che affonda le sue radici in un colonialismo sempre nascostamente rimpianto.
Il polemista di estrema destra, che sembra ridimensionato negli ultimi sondaggi, è, in questo momento, il miglior amico di Macron. Toglierà, in ogni caso, voti a Marine Le Pen, e sottrarrà, seppur in minima parte e solo nell’intimità dell’urna qualche preferenza alla candidata dei Repubblicani, Valerie Pecresse. Quest’ultima potrebbe realmente arrivare a sfidare Macron al secondo turno con qualche possibilità, dicono i sondaggi, di spuntarla.
Ma il problema è tutto lì. Seppur con sfumature differenti, il deciso riposizionamento a destra dei Repubblicani promosso dalla candidata Pecresse (che aveva abbandonato il partito anni fa, perché, ironia della sorte, lo considerava troppo a destra), ha consegnato agli elettori di quel campo, sedotti dal ripiegamento identitario, ben tre candidati. Tutto potrebbe risolversi in un gioco al massacro. Un enorme favore a Macron.
Lo stesso che farebbero al presidente, in testa nei sondaggi per il primo turno, i candidati di sinistra, attualmente almeno in quattro tra il comunista Roussel, il melenchonista Melenchon, la socialista Hidalgo e il verde Jadot, che non appare in grado di replicare gli exploit del suo partito alle europee e alle amministrative. Anche in questo caso, ne beneficerebbe Macron, il presentabile, lo statista, nella speranza di trovarsi contro al secondo turno, un impresentabile.
Massimo Nava, su queste pagine, ha giustamente sostenuto che stavolta Macron non potrà contare così abilmente sui voti della destra moderata, come accadde cinque anni fa, quando sul suo nome confluirono i voti degli orfani repubblicani del candidato neogaullista, travolto dagli scandali, Fillon. Tuttavia, sarà l’intensità della deriva verso destra dei Repubblicani, a determinare quanti moderati vorranno appoggiare comunque la candidata Pecresse o dare nuovamente fiducia a Macron.
Inoltre, e infine, bisognerà valutare quanto peserà il ruolo dei delusi delle primarie repubblicane, primo fra tutti, l’astro nascente e ora offuscato, Xavier Bertrand. I sondaggi contano poco per ora e gli elettori francesi sono particolarmente ondivaghi, ma nulla è perduto per Emmanuel Macron. Anzi, domani come allora, potrebbe vincere anche per merito degli avversari.