
«La candidatura di Éric Zemmour, dato al 10-12 per cento, ha diviso l’estrema destra e ridotto il serbatoio di voti di Marine Le Pen. Lo scrittore ebreo ultranazionalista e xenofobo ha agitato il dibattito politico e obbligato la cultura di destra a una profonda riflessione sui temi dell’identità nazionale e dell’immigrazione, ma ha finito per provocare un sussulto d’orgoglio nella famiglia gollista».
«Se Marine Le Pen sarebbe la «miglior nemica» di Emmanuel Macron, essendo scontato l’esito della sfida finale, Valérie Pécresse sarebbe la «peggiore avversaria». Già oggi è data al 48 per cento in caso di ballottaggio. Poi conteranno il confronto televisivo, la caccia all’ultimo voto, il sostegno dei media: ambiti in cui la Pécresse ha maggiori margini di consenso rispetto alla Le Pen».
«È utile ricordare che il sistema elettorale a doppio turno condiziona le scelte dei cittadini. Al primo, si tende a votare per adesione a un progetto politico e simpatia per la persona. Al secondo, si vota generalmente «contro» o si finisce per scegliere il meno peggio».
«Il presidente è dato in testa al primo turno, con il 25 per cento, e dispone ancora di un alto gradimento nel Paese. Ma la sua riserva di voti, in caso di ballottaggio con la Pécresse, si assottiglia, dato che non potrebbe più contare, come invece nel 2017, sul sostegno della destra moderata. Quanto alla sinistra, divisa e ridotta ai minimi termini, andrebbe in ordine sparso e non necessariamente in soccorso del presidente. La Pécresse potrà invece contare anche sui delusi di Macron e su elettori di estrema destra in libera uscita. I Repubblicani, che in poche settimane hanno raddoppiato gli iscritti, hanno dunque scelto il miglior candidato possibile, capace innanzi tutto di guadagnare un consenso trasversale nell’elettorato femminile».
«La Francia cambia pelle in fretta e vive di facili entusiasmi che innescano una dinamica elettorale sorprendente. A differenza dell’epoca di Ségolène Royal, i tempi sembrano maturi perché una donna entri all’Eliseo. Inoltre, la Pécresse ha più frecce nell’arco. È una gollista della prima ora, giovane (ha 54 anni) ma con lunga esperienza nelle istituzioni e sul territorio. È stata ministro del budget e dell’istruzione nel governo di Sarkozy e, dal 2016, è presidente della Ile-de-France, la regione di Parigi, la più ricca e popolosa di Francia. Come Sarkozy, è nata e cresciuta a Nelly-sur-Seine, il sobborgo esclusivo di Parigi. Ha promosso la riforma delle università. Ha un percorso di studi di alto profilo e parla russo. Festeggia il compleanno nel giorno della presa della Bastiglia, il che è già un auspicio per chi crede al destino.
Sposata con tre figli, può sedurre i francesi anche per la sua sobria normalità, stile Merkel o Von der Layen, fatta di blazer colorati e t-shirt bianche. La sua posizione moderata e liberale, nel solco della destra gollista, finirà per contendere a Macron il consenso dell’establishment, ma la prima sfida da vincere é la riconquista della Francia che non vota più e dei ceti popolari sedotti dall’estremismo populista. La Pécresse dice che Marine Le Pen e Éric Zemmour sono «mercanti di paura» che non portano soluzioni, ma usa gli stessi argomenti: promette «restaurare» la fierezza della Francia, minacciata dall’immigrazione clandestina e dal fondamentalismo islamico.
«Nulla è ancora deciso. Ma sarà bene cominciare a mettere negli scenari europei la possibilità di una donna sul trono di Francia e a rivedere prospettive suggestive. Dopo l’uscita di scena di Angela Merkel, «Dracon», l’acronimo della coppia Draghi-Macron, potrebbe impigliarsi nei giochi dell‘Eliseo e del Quirinale».