
Il bollettino di guerra è tragico, ricostruisce il Manifesto: «2403 statunitensi, tra civili e militari, perdono la vita. 19 navi e 188 aerei distrutti. I giapponesi invece perdono 29 aerei e 64 uomini». Dopo l’attacco, l’imperatore Hirohito visita il controverso santuario shintoista Yasukuni di Tokyo per commemorare i soldati giapponesi morti combattendo. E lo fa per circa dieci volte dopo la seconda guerra mondiale, nonostante le rimostranze della Corea del Sud e della Cina, che di morti per mano giapponese ne hanno subito molti più. Il tempio, costruito nel 1869 dall’imperatore Meiji, attira le ire dei vicini asiatici perché rappresenta lo spirito belligerante e colonialista del Giappone che ha coinvolto, direttamente, Pechino e Seul.
La malinconia guerriera giapponese che trova il suo simbolo nel santuario shintoista Yasukuni di Tokyo. Per i vicini di casa nel mar del Giappone, c’è ancora oggi una ferita aperta e mai sanata dal Giappone moderno. Tra i nomi contenuti nel libro delle anime presente nel santuario: in una lunga lista di circa 2 milioni e mezzo di militari caduti durante i conflitti condotti dal Giappone dal 1853, ci sono i nomi di circa mille persone considerate «criminali di guerra». «Tra questi, figurano anche 14 persone classificate come criminali di Classe A, cioè ritenuti responsabili di aver commesso crimini contro la pace», precisa Serena Console.
L’imperatore Hirohito aveva interrotto le visite ufficiali al santuario quando si iniziò a commemorare i criminali di guerra giustiziati al termine del secondo conflitto mondiale. Tra questi, anche Hideki Tojo, l’ex primo ministro giapponese dal 1941 al 1944, condannato a morte per crimini di guerra e giustiziato nel 1948. Ma ieri un gruppo di circa cento parlamentari giapponesi ha fatto visita al controverso santuario di Tokyo, scatenando le proteste di Cina e Corea del Sud. Nel folto gruppo di visitatori, c’erano anche nove vice ministri e assistenti speciali del gabinetto del premier conservatore nipponico Fumio Kishida.
Il primo ministro giapponese non si è unito alla visita, per evitare di farsi travolgere dall’ondata di critiche che aveva colpito l’ex premier Shinzo Abe nel 2013. «Allora come oggi, ogni visita di un esponente politico giapponese a Yasukuni fa storcere il naso a Pechino e Seul e Pyongyang assieme, considerata come segno di mancanza di rimorso per le azioni di guerra spesso feroci commesse dall’impero giapponese, prima dell’adozione della costituzione pacifista per volontà degli Usa al termine della seconda guerra mondiale, segnata sul fronte opposto della sempre discusso uso americano delle sole bombe atomiche contro l’uomo.