
Raramente si è visto tanto realismo nella pubblicità. In genere si edulcora e si racconta aglio per cipolla, tra luoghi comuni e sciocchezze scintillanti, ma stavolta no. Il poveraccio, in questo caso, è una specie di automa attonito e sorridente, dedito al lavoro per far felici i figli di papà e tutti gli imitatori del genere. Inoffensivo, perché deve sembrarlo ed esserlo. Volontariamente schiavo, perché il padrone sia allegramente libero.
Una narrazione chirurgica. Uno spot bellissimo. Perfetto per raccontare il tempo in cui viviamo, parliamo, discutiamo di vaccini o di calcio con la stessa sapienza, in una lingua senza spessore, senza curiosità né profondità. Esaltante Renatino, il re del sì o del no, mai del forse. Ha cominciato a lavorare a 18 anni, se non prima, perché ha fatto scuole tecniche e sicuramente ha avuto modo di accelerare la sua cultura pratica nel meraviglioso mondo dello scambio scuola-lavoro.
Così vanno le cose e così devono andare, ci dice lo spot che a dire il vero è formativo, non irrispettoso. Serve a forgiare. A fare da contraltare i ragazzini che parlano con Renatino in una lingua inesistente e cinematografica. Belli e inutili, virtualmente lo stampino di un’epoca senza sfumature, dove tutti parlano il romano dei registi romani e dei loro sceneggiatori. Il romano da salotto declinato secondo necessità, ma davvero mai lingua reale.
(La dimostrazione, per contrasto, è la lingua vera di Zerocalcare, che non è il romanesco moscio delle serie tv, della politica e dei media, ma il romano di borgata. Lingua della realtà).
Per concludere questo Polemos apologetico, direi che è uno spot indimenticabile come quello di Muccino per celebrare la Calabria. Non vedo l’ora di vedere il seguito. E mi aspetto grandi cose. Tipo il nonnetto di Renatino che a 85 anni è ancora lì, con la passione e la gioia del nipote, a fare l’additivo alla bontà, sdentato ma sorridente. Perché non serve andare in pensione se sei felice al lavoro, racconta ai soliti ragazzini che risponderanno: sei un grande. E in loop si continuerà a raccontare la vita attraverso il sogno che a sua volta diventa realtà. Triste realtà di un’epoca dove l’arroganza spiana ogni collina del dubbio, disegnandoci un deserto piatto e scialbo. E noi Renatini a sorridere alla telecamera