
La Prima Guerra mondiale sconvolse l’Europa non solo stroncando la vita di milioni di europei e mettendo a ferro e fuoco le zone dove si svolsero i combattimenti, ma anche creando nuovi stati indipendenti su parti di territorio che in precedenza appartenevano agli imperi scomparsi. La Polonia del XX secolo nacque infatti dalla dissoluzione di tre imperi: a sud i nuovi territori polacchi erano appartenuti all’impero d’Austria, ad ovest all’impero tedesco e ad est all’impero russo. La stabilizzazione dei confini non fu affatto un processo rapido o incruento perché il nuovo stato dovette affrontare ben tre guerre con i vicini.
La prima in ordine di tempo, tra la fine del 1918 e l’estate 1919, fu la guerra polacco-ucraina per la zona sud-orientale: la piccola repubblica ucraina che non aveva alleati e che alle spalle subiva anche la pressione sovietica, fu sconfitta dalla Polonia, che godeva tra l’altro dell’appoggio francese e romeno. Ottenuta Leopoli e la Galizia (che oggi però si trova in Ucraina) e posto il confine meridionale sui Carpazi, la Polonia si scontrò con l’Unione Sovietica. Nel frattempo però, per la spartizione della Slesia (divisa prima tra impero austriaco e tedesco) era scoppiato un secondo conflitto con la Cecoslovacchia che durò circa un mese tra gennaio e febbraio 1919.
Lo scontro russo-polacco fu indubbiamente il più esteso e pericoloso: una armata sovietica a cavallo arrivò infatti fino alle porte di Varsavia dove fu respinta, ma la parte orientale del paese fu nuovamente contesa. I polacchi occuparono tuttavia verso est parti dell’attuale Lituania (comprese Vilna e Kaunas) e dell’attuale Bielorussia fissando il confine a pochi chilometri da Minsk, dopo che per un breve periodo la città stessa era stata occupata dai polacchi nel maggio 1920. Fu in questa fase che si collocò il tentativo del ministro degli esteri britannico lord George Curzon di fissare una sorta di confine etnico, ossia tra zone abitate in maggioranza da polacchi e ucraini o ruteni, anche se di altre minoranze pur presenti non si tenne alcun conto.
Nel 1923 un accordo russo-polacco negoziato alla Società delle Nazioni riconobbe infine alla Polonia una parte aggiuntiva in Galizia orientale e Volinia, non prevista dalla proposta inglese iniziale, ma ‘de facto’ già occupate dalla Polonia. In seguito al patto Ribbentrop-Molotov concluso nell’estate del 1939, Germania nazista e Russia sovietica si accordarono per un’ulteriore spartizione della Polonia e, dopo l’attacco tedesco che annientò il paese, i sovietici occuparono allora parti di territorio ad occidente della linea Curzon assegnandoli alle repubbliche di Bielorussia e Ucraina.
La guerra tra Germania e Unione Sovietica rimescolò ancora le carte: la Polonia occupata dai nazisti scomparve completamente dalle carte geografiche e divenne un governato generale del Reich. Alla fine della guerra fu però Stalin in persona che, nel corso delle discussioni per i nuovi confini polacchi, sostenne di ripristinare la linea Curzon nella sua versione originale, che non riconosceva cioè alla Polonia la parte di Bielorussia occupata fino al 1939 e imponeva il passaggio del distretto di Przmysl, a nord dei Carpazi, all’Ucraina, che – al pari della Bielorussia – faceva parte dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche.
Le perdite territoriali polacche ad oriente furono compensate con Danzica e la sponda baltica (ad esclusione dell’antica città prussiana di Königsberg che divenne Kalingrad e fu annessa all’Unione Sovietica), la Prussia orientale (e parte di quella occidentale) e una parte restante della Slesia tedesca con la città di Breslavia. La linea Curzon fu poi modificata da piccoli aggiustamenti bilaterali: finalmente sancita da un trattato solo nel 1975, divenne la linea ufficiale di confine tra Polonia, Bielorussia e Ucraina nel 1991, quando cioè fu sciolta l’Unione Sovietica. Come buona parte dei confini dell’Europa orientale non si tratta oggi di semplici linee sul terreno e spesso la strumentalizzazione di una presunta insicurezza è in agguato.