«La situazione in Afghanistan è tragica, ma non abbandoneremo il popolo afghano». Era il 16 di agosto quando il ministro Di Maio ribadiva un concetto poi ripreso da Draghi nello “speciale” G20 Afghanistan.
Se le voci di corridoio alla Farnesina sono vere, lunedì prossimo il Comitato congiunto del Maeci, il ministero esteri e per la cooperazione, deciderà se lasciare la sede che per vent’anni ha gestito il seppur piccolo contributo civile dell’Italia (meno di un decimo dell’impegno militare). «Eppure il suo ultimo direttore, Giovanni Grandi, aveva spiegato ai Rainews24 che la sede dell’Agenzia non è chiusa, ci siamo allontanati per motivi di sicurezza…. Siamo in attesa di capire quale sarà la configurazione del nuovo governo del Paese per valutare, di concerto con il ministero, come riorientare i nostri interventi».
Ora, con un’ambasciata aperta a Doha dove quella di Kabul si è trasferita, e con gli uffici della Cooperazione a Roma e non a Kabul, dubbi e domanda d’obbligo: «chi controllerà sul campo i soldi che l’Italia ha deciso di destinare alle diverse agenzie Onu per l’emergenza umanitaria?», un contributo generoso che rientra nel miliardo complessivo promesso dal G20 voluto da Draghi.
Senza nemmeno un ufficio in Afghanistan, l’Italia potrebbe decidere di incaricare la nostra legazione in Pakistan di seguire le vicende afghane, anche se l’ambasciata a Islamabad è già sotto la pressione dell’ondata di profughi che dalla capitale pachistana cercano una via di fuga in Europa. O potenziare l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo di Teheran, altro tradizionale punto d’approdo di richiedenti asilo.
Un lavoro chiave che l’Agenzia per la Cooperazione avrebbe potuto svolgere a Kabul sarebbe stato quello di far da filtro sulla massa di richiedenti asilo che accomuna persone realmente a rischio ad altre che, come accade da vent’anni, cercano comunque di andarsene per raggiungere l’Europa. Una situazione resa drammatica dall’emergere di bande criminali che promettono visti facili a chiunque sia in grado di pagare.