
Il Rakhine è lo stato rivendicato dai Rohingya, il popolo più perseguitato del mondo, definiti così dalle Nazioni Unite. «Le violenze, le uccisioni e gli stupri nei loro confronti da parte dei militari nell’agosto 2017 sono costati al Myanmar guidato da Aung San Suu Kyi l’accusa di genocidio». Da quell’estate oltre 700.000 si sono rifugiati nel vicino Bangladesh, nel campo profughi di Kutupalong, ma 144.000 rohingya ancora oggi confinati in campi improvvisati proprio in Rakhine.
Aiuti umanitari Onu Una goccia nel mare dei bisogni. 1,67 milioni di persone in tutto il Myanmar aiutati dalla Nazioni unite e ostacolati da regime militare che cerca di impedirli, distruggendoli dove ritiene di dover colpire zone ribelli. ‘Aiuti salvavita’, ma con ancora troppe vite in pericolo.
La dichiarazione di Griffiths è stata rilasciata mentre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite era impegnato in una riunione a porte chiuse sul Myanmar. L’incontro, nel giorno del primo anniversario delle elezioni del 2020, che confermavano il governo di Suu Kyi. «Le Nazioni Unite ribadiscono il loro appello ai militari affinché rispettino la volontà del popolo e rimettano il paese sulla strada della transizione democratica».
Sulla sorte della Birmania-Myanmar, la contrapposizione degli interessi strategici internazionali che dal confronto strategico e caldo nell’area dell’Indo-Pacifico, si riflettono attorno. Posizioni si sostegno o critica quasi tutte sospettabili, con blocco occidentale che accusa in vario modo Russia e Cina avrebbero obiettato a una proposta di comunicato finale che esprimeva preoccupazione per le violenze e riaffermava il sostegno del Consiglio alla transizione democratica del paese.
«la situazione è senza dubbio di una guerra civile ormai diffusa in tutto il paese».